Art. 669-ter. Competenza anteriore alla causa.
- 16 Gennaio 2023
Prima dell’inizio della causa di merito la domanda si propone al giudice competente a conoscere del merito.
Se competente per la causa di merito è il giudice di pace, la domanda si propone al tribunale.
Se il giudice Italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare.
A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento.
Sommario: 1. Evoluzione storica della competenza ante causam – 2. Eccezioni al criterio della corrispondenza tra competenza di merito e cautelare – 3. L’inesperibilità del regolamento di competenza.
1. Evoluzione storica della competenza ante causam. – La disciplina dedicata all’individuazione del giudice competente ad emettere le misure cautelari è contenuta negli artt. 669-ter, 669-quater e 669-quinquies c.p.c.
Il legislatore ha previsto un sistema organico per l’individuazione del giudice cautelare. Ciò va sottolineato, dal momento che in passato si erano andati diffondendo criteri di competenza diversi che creavano non pochi problemi in sede di interpretazione e applicazione. Il tutto aveva ricadute sul piano pratico. Infatti, data l’assenza di un precetto incontrovertibile, il ricorrente aveva la possibilità di introdurre la domanda cautelare dinanzi a diversi Fori e solitamente finiva per scegliere «il giudice nella speranza di trovare quello più sensibile alle sue istanze» (Verde 1: 209 s).
Con la riforma si è provveduto a tacitare anche altre incongruenze. Infatti, in passato le istanze di misure cautelari proposte ante causam, venivano assegnate di default ai capi degli uffici giudiziari; si trattava in buona sostanza di una competenza funzionale. In questo modo si verificava uno squilibrio, rectius, un accumulo di potere che non poteva e ancora non può essere concepito laddove si fa proprio il principio per cui tutti i giudici sono uguali tra di loro. Ad oggi è espressamente previsto che “A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento”. Ciò significa che il presidente del tribunale potrà sempre dichiararsi autonomamente assegnatario, tuttavia dovranno essere predeterminati i criteri a fondamento della scelta all’interno del regolamento con cui i capi ufficio predispongono l’organizzazione dello stesso (Verde 1: 210 s.). Alla luce di quanto detto, in entrambi i casi, appare degno di menzione l’intervento del legislatore del 1990 con il quale si è messo fine alle aporie in esame.
Ciò premesso, a seguito della riforma di cui sopra, l’attuale art. 669-ter individua come giudice innanzi al quale proporre (ante causam) un procedimento cautelare, quello che sarebbe competente a conoscere il merito della causa (5335/07) (Verde-Capponi: 332). Tale risultato è da considerarsi l’unico possibile, infatti l’intento del legislatore del ’90 era, come poi è stato, quello di dar luogo ad “un sistema ben oleato”, in cui il provvedimento cautelare risulti sempre coerente con la situazione cautelanda. In questo senso, un controllo costante non può che svolgerlo il giudice del merito che facilmente è in grado di venire a conoscenza di mutate circostanze fattuali. Dunque, per l’individuazione del giudice cautelare, troverà applicazione un criterio ricavato «per via indiretta» o «per relationem» (Verde 2: 432 s.), cioè basterà individuare il giudice competente per il merito, applicando i tre criteri base: per territorio, valore e materia.
È discusso se il legame tra competenza per il merito e competenza cautelare rimanga integro anche laddove per la prima sia prevista una deroga pattizia. L’art. 28 del c.p.c. recita testualmente: “La competenza per territorio può essere derogata per accordo delle parti, salvo che per le cause previste nei n. 1, 2, 3, e 5 dell’articolo 70, per i casi di esecuzione forzata, di opposizione alla stessa, di procedimenti cautelari e possessori, di procedimenti in camera di consiglio e per ogni altro caso in cui l’inderogabilità sia disposta espressamente dalla legge”. Si evince, dunque, che la competenza del giudice di merito è derogabile – tranne che nei casi espressamente individuati – tramite un accordo delle parti, al contrario della competenza cautelare che è assolutamente inderogabile. In realtà si tratta di una preclusione soltanto formale. Infatti, il menzionato art. 28 c.p.c. «impedisce alle parti di concordare l’attribuzione della competenza cautelare ad un giudice diverso da quello competente per il merito, non certo di proporre la domanda cautelare al giudice che in via pattizia le parti hanno stabilito essere competente in via esclusiva per il merito» (De Matteis: 238 s.). Alla luce di quanto detto, ove la competenza per la causa di merito sia stata derogata pattiziamente, le parti dovranno rivolgersi al foro individuato in via convenzionale per ottenere la pronuncia di provvedimenti cautelari.
Altra fattispecie di cui avere cognizione è quella in cui vi siano più fori competenti e alternativi. In quest’ipotesi vi è una giurisprudenza più risalente per cui l’istanza cautelare può essere avanzata dinanzi ad uno qualsiasi dei tribunali astrattamente competenti senza che tale scelta possa in alcun modo determinare anche la competenza per il successivo giudizio di merito. Orbene, si tratta di un orientamento che si preoccupava di preservare il diritto della parte di introdurre il successivo giudizio a cognizione piena innanzi ad altro giudice ugualmente competente (11778/14; 24869/10). In via ulteriore quand’anche venga rilevata l’incompetenza del giudice della cautela, il quale ha già emanato una misura cautelare, quest’ultima continua ad essere efficace. Ciò dal momento che il provvedimento cautelare si pone come strumentale rispetto al giudizio di merito indipendentemente da chi ne sia poi l’istruttore (2505/10).
Nondimeno, vi sono delle pronunce che si pongono in una prospettiva diametralmente antitetica, per cui una volta scelto l’ufficio innanzi al quale proporre la domanda cautelare, questo dovrà essere mantenuto anche per il successivo giudizio di merito. Ciò sulla scorta del disposto di cui all’art. 669-octies, con il quale il legislatore ha previsto che una volta emessa la misura cautelare il giudice dovrà assegnare al ricorrente un termine per l’introduzione della causa di merito. Solo su tale assunto l’orientamento in esame sostiene che implicitamente il giudice della cautela si imporrebbe anche come unico competente per il merito (11949/15; 16328/07; 5335/07).
Tuttavia, la tesi cui ci sentiamo di accedere è inevitabilmente la prima. Infatti, al più si potrebbe eccepire che il giudizio di merito è inefficace perché incardinato presso un foro incompetente, ma mai potrà essere dichiarata l’inefficacia per instaurazione del giudizio innanzi ad un giudice competente, ma diverso da quello della cautela (De Matteis: 240 s.).
In via ulteriore, una recentissima sentenza della corte di legittimità ha stabilito che quand’anche, nel giudizio cautelare ante causam, non sia proposta eccezione di incompetenza del giudice, tale omissione non comporta l’incardinarsi presso quel giudice, della successiva competenza per il merito. Infatti, tale eccezione potrà essere sempre sollevata dalla parte o anche d’ufficio, dal momento che nel giudizio cautelare non opera il regime delle preclusioni delle eccezioni, proprio del giudizio a cognizione piena (12403/20; 797/15).
2. Eccezioni al criterio della corrispondenza tra competenza di merito e cautelare. – Al sistema generale di individuazione del giudice cautela competente vi sono però alcune importanti eccezioni. La prima di queste, ai sensi del secondo comma della norma in esame, si configura quando competente a conoscere il merito della questione è il giudice di pace, al quale il legislatore ha precluso la possibilità di emanare misure cautelari. Nel caso de quo la domanda cautelare dovrà essere avanzata al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio del giudice di pace ed ivi esercita le sue funzioni. In merito vi è chi considera irragionevole e antinomico che il g.d.p. possa pronunciare provvedimenti definitivi e provvisoriamente esecutivi, ma non possa disporre misure cautelari che ontologicamente sono provvedimenti provvisori suscettibili di essere modificati per adattarsi alla mutevole situazione cautelanda (Verde: 208 s.). Anche se non poco diffusa è la tesi certa della preclusione incondizionata del potere cautelare al Giudice di pace, sulla supposizione che tale funzione sarebbe troppo delicata e difficile da padroneggiare (Valitutti: 173).
In merito è stata sollevata anche questione di legittimità costituzionale che, ridotta ai minimi termini, si basava su tale assunto: posto che con la riforma del processo si è introdotto un principio a carattere generale per cui vi è piena coincidenza tra il giudice del merito e quello della cautela, appare irragionevole e infondata l’esclusione della funzione cautelare tra quelli di competenza del giudice di pace.
Nondimeno, con ordinanza n. 63 del 14 marzo 1997, la Consulta ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per molteplici ragioni. In primis basandosi sulla chiara scelta del legislatore del ’90 che ha introdotto il rito cautelare uniforme ed ha ripartito le competenze escludendo sempre quella del g.d.p. (anche nel successivo art. 669-quater, è esplicitamente prevista l’esclusione di tale competenza in capo al giudice di pace); in via ulteriore la pronuncia di provvedimenti cautelari presuppone un complesso di poteri di attuazione e di esecuzione, nonché un’ipotesi di reclamabilità, ontologicamente in antitesi con l’essenza del giudice onorario; ed infine la Consulta ha dichiarato legittimo l’intervento del legislatore dal momento che il giudice di pace ha competenza per le cause di poco valore (circa € 1.100), dunque con poteri estranei all’apprezzabilità del c.d. fumus boni juris. Tuttavia, se ciò era sicuramente giusto avendo riguardo alle norme nella loro formulazione ratione temporis, oggi è necessario puntualizzare che la competenza del giudice di pace è stata nettamente estesa anche a materia più delicata dagli artt. 7-8 del d. lgs. n. 150/2011. Oltre che la competenza per valore è stata elevata a diecimila euro (dunque raddoppiata) dall’art. 3, 1° comma, del. d.lgs. n. 149/2022.
Altra deroga al principio generale della “tendenziale” coincidenza del giudice cautelare con il giudice del merito, è sancito dal comma 3 dell’articolo in commento: “Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare”. Dunque, nell’ipotesi in cui il giudice italiano sia privo di competenza a decidere il merito della questione, ma sarà competente a pronunciare il provvedimento cautelare laddove questo debba trovare esecuzione in Italia.
Infine, l’ultimo caso in cui può non rinvenirsi parallelismo del giudice della cautela e del merito, si ha quando le parti, in virtù di compromesso o clausola compromissoria, abbiano deciso di rimettere l’insorta o l’insorgenda lite alla decisione (nel merito) di un collegio arbitrale. Il recentissimo d. lgs. 149/2022, in attuazione della legge delega 206/2021 ha introdotto la possibilità per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari. Facoltà che fino a questo momento gli era vietata. È stato completamente riformato l’art. 818 c.p.c. che ad oggi detta “Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva”. Dunque, la condizione è l’esplicita attribuzione in tal senso delle parti con la convenzione di arbitrato o con atto scritto successivo, rectius, anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. Fino all’accettazione della nomina da parte degli arbitri (e all’effettivo inizio del giudizio arbitrale), la domanda cautelare dovrà essere proposta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Tuttavia, la nuova formulazione appare in controtendenza con gran parte delle discipline internazionali ed in particolar modo europee che sono formulate seguendo uno schema opposto, tale per cui l’attribuzione del potere cautelare agli arbitri è la norma che poi potrà essere derogata dalla esplicita volontà delle parti che vogliono privare il collegio arbitrale di tale facoltà (Carvelaris: 30 s.).
Nondimeno, se ne parlerà nella giusta sede dal momento che il fenomeno è disciplinato dall’art. 669-quinquies c.p.c.
3. L’inesperibilità del regolamento di competenza. – Nel primo paragrafo si è ricordato un recente orientamento giurisprudenziale per cui nel procedimento cautelare non opera il regime delle preclusioni di cui all’art. 38 c.p.c. Sicché, quand’anche non sia rilevata l’incompetenza del giudice cautelare ciò non àncora a quest’ultimo anche la competenza per il merito. (12403/20; 2505/10).
Tanto premesso, è bene sottolineare che vi è un consistente orientamento giurisprudenziale che «esclude che le statuizioni sulla competenza del giudice cautelare siano impugnabili con regolamento di competenza» (Vullo, 70). La ratio sottesa a tale inammissibilità si pone su un piano logico fondato sull’assenza di “stabilità” sia dell’eventuale provvedimento declinatorio sia di un’eventuale sentenza all’esito del procedimento di cui all’art. 47 c.p.c. Nel primo caso si tratterebbe di un provvedimento provvisorio, non in grado di inibire l’illimitata possibilità di riproposizione della domanda cautelare. Nel secondo caso, ancora una volta, si tratterebbe di una sentenza priva del requisito della definitività “atteso il peculiare regime giuridico del procedimento cautelare nel quale andrebbe ad inserirsi” (18189/13; 16091/09).
Ad ogni modo, anche laddove il giudice che ha emesso una misura cautelare dovesse essere incompetente, non rimarrebbe comunque la parte interessata priva di tutela attesa la possibilità di proporre reclamo ex art. 669-terdecies. Tuttavia, anche se si ammettesse il regolamento di competenza, una problematica diffusa si avrebbe nel caso in cui il giudice rigetti più volte l’istanza ritenendo di essere incompetente, posto che la tutela cautelare è ontologicamente incompatibile con le tempistiche procedurali del ricorso ex art. 47 c.p.c.
Alla luce di ciò «si è suggerito, allora, l’escamotage della contestuale proposizione della domanda cautelare e di quella di merito: ai sensi dell’art. 669-quater c.p.c., infatti è opinione largamente diffusa che nella specie il giudice sia tenuto a decidere sull’istanza cautelare proposta in corso di causa anche quando sia eccepita la sua incompetenza o comunque egli ne dubiti» (Vullo: 71).
Bibliografia nel testo: CARVELARIS A., Provvedimenti cautelari in Commento ai principi in materia di arbitrato della legge di delega n. 206 del 21 novembre 2021, art. 1, c. 15, Riv. Giur. Judicium, 2022; De Matteis s., La riforma del processo cautelare: Analisi sistematica e profili operativi del nuovo rito cautelare, Milano, 2006; VALITUTTI A., I procedimenti cautelari e possessori, I, Padova, 2004; VERDE G.–CAPPONI B., Profili del processo civile, III, Napoli, 2006; Verde G. 1, Diritto Processuale Civile, 3: Processo di esecuzione. Procedimenti speciali, Bologna, 2017; G. Verde 2, Appunti sul procedimento cautelare, in Foro it, 1992; VULLO E., Commentario del Codice di Procedura civile a cura di Sergio Chiarloni. ART. 669 BIS – 669 quaterdecies. Procedimenti cautelari in generale, Bologna, 2017.
Commento di Giuseppe Mancino, licenziato il 16 gennaio 2023.