Art. 306. Rinuncia agli atti del giudizio.
- 11 Gennaio 2022
Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione.
L’accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni.
Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali, verbalmente all’udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti.
Il giudice, se la rinuncia e la accettazione sono regolari, dichiara l’estinzione del processo.
Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.
Sommario: 1. Rinuncia all’azione. – 2. Rinuncia agli atti. – 3. Accettazione. – 4. Provvedimento di estinzione. – 5. Spese. – 6. Rinuncia in sede di gravame. – 7. Indennizzo da irragionevole durata del processo. – 8. Profili fiscali
1. Rinuncia all’azione. – La rinuncia agli atti del giudizio, ove accettata (se del caso), produce l’estinzione del singolo processo, ma lascia intatto il diritto fatto valere, che potrà essere esercitato in un successivo, nuovo giudizio. La rinuncia all’azione si traduce, invece, in una vera e propria rinuncia al diritto, che preclude ogni attività giurisdizionale indipendentemente dall’accettazione dell’altra parte. E ciò perché, estinguendo l’azione stessa (e non il singolo processo), assume l’efficacia di una pronuncia di rigetto nel merito e fa, quindi, venir meno l’interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio, al fine di ottenere una pronuncia negativa sull’azione proposta e rinunciata.
Come (e più) della rinuncia agli atti, la rinuncia all’azione va formulata personalmente dalla parte o da procuratore munito di procura speciale (4837/19). Per questo motivo, la richiesta formulata dal difensore di dichiarare la cessazione della materia del contendere non equivale a rinuncia all’azione (19845/19 → FI 20, 1745 – Scala). Il rappresentante della persona giuridica, investito del potere di stare in giudizio, ha il potere di compiere tutti gli atti processuali, compresa la rinuncia, e quindi può conferire il relativo mandato speciale al difensore, senza che tale atto debba essere specificamente previsto nella delibera di investitura (SU 22999/04).
La rinuncia all’azione può, però, anche essere tacita e consistere nel riconoscimento dell’infondatezza della propria pretesa, accompagnato dalla dichiarazione di non voler insistere nell’azione (19845/19 cit.; 4505/01).
La rinuncia all’azione è tecnicamente concepibile nei soli giudizi aventi a oggetto diritti disponibili. In tema di diritti indisponibili, non essendo ammessa alcuna negoziazione o dismissione, la rinuncia all’azione, accettata dalle parti costituite, comporta la sola estinzione del giudizio in cui è manifestata (14879/17).
Alla rinuncia all’azione si applica l’art. 306, 4° co., c.p.c., per cui il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, con esclusione di qualunque potere del giudice di totale o parziale compensazione (31199/18; 5250/18)
2. Rinuncia agli atti. – La rinuncia deve provenire dalle parti o da loro procuratori speciali. La firma alla rinuncia non deve essere autenticata dal difensore, che non ha poteri certificatori generali, potendo la certezza dell’ascrivibilità della rinuncia al titolare della posizione sostanziale controversa essere acquisita con ogni mezzo (5905/02).
Non è valida, pertanto, la rinuncia prestata dal difensore che sia privo di procura ad hoc. È dubbio, invece, se il difensore possa rinunciare a una singola domanda, o a un capo o parte di essa. Ai più che propendono per l’affermativa (rientrando nei poteri del difensore il compito di emendare domande e conclusioni: 4837/19; 28146/13; 21848/13; 1439/02; 140/02), si contrappone chi equipara la dismissione di capo o parte di domanda alla rinuncia agli atti, aggiungendo che, in questo caso, il vizio della sentenza che, sulla rinuncia del difensore, abbia rigettato la domanda, va dedotto con l’impugnazione (25045/19). Questa secondo approdo dovrebbe a fortiori privilegiarsi ove si ritenga che la rinuncia alla domanda, a differenza della rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l’adozione di forme particolari, non necessita di accettazione della controparte ed estingue l’azione (33761/19). Può addirittura formularsi nella comparsa conclusionale, nonostante il tenore meramente illustrativo di quest’ultima (8737/14). In ogni caso, quale sia la forma della rinuncia alla domanda, incorre nel vizio di ultrapetizione la sentenza che pronunci su una domanda rinunciata, tanto se intervenuta nel giudizio di primo grado, quanto in quello d’appello (2060/19).
3. Accettazione. – L’accettazione postula la costituzione della controparte. Con l’effetto che se la rinuncia è prestata prima che questa si costituisca, e pur quando sarebbe ancora in termine per farlo, non è richiesta la sua accettazione (6850/11; #T. RM 2.5.16 → GI 17, 660, Muroni).
L’accettazione non è necessaria quando la parte costituita non ha interesse alla prosecuzione della causa, e cioè quando non possa conseguire un’utilità maggiore di quella che gli deriva dall’estinzione del processo (9066/02) Il caso tipico è del convenuto che ha formulato solo eccezioni in rito impedienti, fra le quali dovrebbero, però, escludersi l’eccezione di difetto di giurisdizione (per la translatio oggi consentita), quella d’incompetenza e quella volta a far valere vizi sanabili (Cuomo Ulloa: 57 ss.). Ove, invece, il convenuto si sia difeso solo nel merito, la necessità della sua accettazione prescinde da una delibazione di fondatezza delle questioni sollevate (Cuomo Ulloa: 55 s.). La proposizione di una riconvenzionale non dovrebbe esigere, invece, l’accettazione della rinuncia alla domanda principale, le volte in cui le due domande siano in rapporto di scindibilità (Cuomo Ulloa: 62 s.)
In sede di opposizione all’esecuzione, la rinuncia richiede l’accettazione del creditore opposto solo quando questi abbia un interesse alla ulteriore prosecuzione, qualificabile come possibilità di conseguire un’utilità giuridicamente apprezzabile, come nel caso in cui abbia chiesto i danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c., pretesa non coltivabile in separato giudizio (20839/18; #5676/03).
In tema di procedimento monitorio, l’accettazione del debitore ingiunto non è necessaria, pur dopo la notificazione del decreto ingiuntivo, quando non è stata ancora proposta opposizione (110/16 → RDP, 16, 1293 n. Romano + GI 17, 661, Muroni).
4. Provvedimento di estinzione. – Il provvedimento con cui il giudice, a seguito della rinunzia agli atti formulata da una parte ed accettata dall’altra, dichiara l’estinzione e liquida le spese ha duplice veste: in punto di estinzione, quando l’organo investito dalla decisione della causa abbia, per l’oggetto del giudizio, struttura monocratica, ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se emesso in forma di ordinanza; diversamente, se emanata dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, conserva la natura di ordinanza reclamabile ai sensi dell’art. 308, 1º comma, c.p.c. (21707/06; 10306/00; #Cordopatri → RTDP 14, 785; #V. Monteleone → RTDP 13, 1159). Quanto, invece, alle spese, essendo la liquidazione dichiarata espressamente non impugnabile dallo stesso art. 306, 4º comma, la parte può dolersene esclusivamente con il ricorso straordinario per cassazione, in virtù dell’art. 111, 7º co., Cost. (21707/06; 10306/00). Del pari, il provvedimento con cui il collegio – nel giudizio di appello – dichiari l’estinzione del processo, ancorché emesso nella forma dell’ordinanza, ha contenuto sostanziale di sentenza, giusta la previsione dell’art. 306, ultimo comma, c.p.c., e, pertanto, non è soggetto a reclamo al collegio, ma a ricorso per cassazione (14936/00).
Per la forma (ricorso) e il rito (camerale) dell’appello avverso la sentenza resa dal collegio del tribunale sul reclamo → art. 308.
5. Spese. – La liquidazione delle spese a carico del rinunciante prescinde da ogni delibazione sulla fondatezza della domanda, riposando unicamente sulla prestazione della rinuncia (21933/06; 9066/02). Il rinunciante deve anche rimborsare le spese sostenute dal chiamato in garanzia, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, a ciò bastando che l’instaurazione del rapporto processuale fra il chiamante e il chiamato fosse giustificata dal contenuto della domanda proposta dall’attore verso il convenuto (25781/13). Ove la rinuncia sia resa prima della costituzione della controparte, nulla è dovuto per le spese (5756/11), senza che assuma rilevanza la successiva costituzione in causa all’esclusivo fine di ottenere il rimborso delle spese (23620/17).
Come si è visto nel § precedente, in punto di spese l’ordinanza di estinzione è detta non impugnabile dall’art. 306, 4º co., per cui la parte può dolersene esclusivamente con il ricorso straordinario per cassazione.
L’ordinanza, però, con cui il giudice di merito dichiari estinto il processo per rinuncia agli atti del giudizio e disponga la compensazione delle spese, anziché la mera liquidazione delle medesime, non limitandosi a prendere atto della rinuncia e dell’accettazione ma risolvendo la controversia sull’esistenza stessa dei presupposti dell’estinzione, ha valore di sentenza, impugnabile con i mezzi ordinari, trattandosi di provvedimento assunto nel contrasto delle parti, il quale fuoriesce dal paradigma di cui all’art. 306 c.p.c., che presuppone la concorde
accettazione della rinuncia (32771/21; 26210/09; 15631/09; 21707/06).
6. Rinuncia in sede di gravame. – Anche in sede di gravame va distinta la rinuncia all’impugnazione (che opera ex se), dalla rinuncia agli atti, che esige di regola l’accettazione della parte costituita. In ambo i casi il provvedimento deve porre le spese a carico del rinunciante, e ha l’effetto di generare il passaggio in giudicato della sentenza impugnata (31199/18; 5250/18; 6845/17). In ragione, però della struttura e della funzione del giudizio d’appello, può ritenersi che non sia necessaria l’accettazione dell’appellato totalmente vittorioso in primo grado o che, pur soccombente, non abbia proposto appello incidentale nel termine di cui all’art. 343 c.p.c. (Cuomo Ulloa: 110 ss.).
7. Indennizzo da irragionevole durata del processo. – Ai sensi dell’art. 2, co. 2-sexies, lett. c), l. n. 89/01, introdotto dalla l. n. 208/15, si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo nel caso di estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti, salva la prova contraria. In questo caso, il termine semestrale di decadenza per la proposizione della relativa domanda decorre dall’ordinanza dichiarativa dell’estinzione (14971/12).
8. Profili fiscali. – Tra i titoli giudiziali soggetti a registrazione che, ai sensi dell’art. 37, d.p.r. n. 131/86, formano presupposto dell’imposta di registro su atti giudiziari, non figurano in generale i provvedimenti giurisdizionali che definiscono il processo senza entrare nel merito e, fra questi, i provvedimenti che ne dichiarano l’estinzione per rinuncia, in quanto equiparabili, sotto il profilo fiscale, ai casi di estinzione del giudizio conseguente all’inattività delle parti perché idonei a determinare l’estinzione dell’intero processo e la conseguente caducazione di tutte le attività espletate (13372/20).
Bibliografia nel testo: F. CUOMO ULLOA, Estinzione del processo, in Commentario del c.p.c., a cura di Chiarloni, Libro secondo: Processo di cognizione art. 306-310, Bologna, 2016.
Commento di Giuseppe della Pietra, licenziato il 20 gennaio 2022