Art. 617. Forma dell’opposizione.
- 8 Luglio 2022
Le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto si propongono, prima che sia iniziata l’esecuzione, davanti al giudice indicato nell’articolo 480 terzo comma, con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto.
Le opposizioni di cui al comma precedente che sia stato impossibile proporre prima dell’inizio dell’esecuzione e quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti di esecuzione si propongono con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto, oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti.
Sommario: 1. Oggetto e causa petendi. – 2. Funzione. – 3. Struttura. – 4. Legittimazione attiva. – 5. Interesse ad agire. – 6. Legittimazione passiva e litisconsorzio necessario. – 7. Casistica dei vizi deducibili. – 8. Termine per l’opposizione agli atti esecutivi. – 9. Concorso con il potere di revoca. – 10. Concorso con l’opposizione all’esecuzione. – 11. Sanatoria. – 12. Nullità insanabili. – 13. Stabilità dei risultati dell’esecuzione forzata. – 14. Opposizione agli atti esecutivi e riscossione mediante ruolo.
1. Oggetto e causa petendi. L’opposizione agli atti esecutivi, o opposizione cd. «formale», è lo strumento generale per dedurre le irregolarità formali degli atti preliminari all’esecuzione forzata (titolo esecutivo, atto di precetto, relativa notificazione), nonché dei singoli atti di esecuzione (Luiso, 276).
Con l’opposizione agli atti esecutivi non si contesta l’an del processo esecutivo, ma il quomodo dell’esecuzione, ovvero il suo legittimo svolgimento attraverso il processo (cfr. 20989/12).
L’accertamento richiesto mediante l’opposizione agli atti esecutivi riguarda, infatti, la validità degli atti del processo esecutivo (o ad esso preliminari) e si estende ai motivi posti a fondamento dell’invalidità: il relativo giudicato copre, dunque, non solo il vizio, ma anche i motivi fatti valere in giudizio (Luiso, 284).
Considerato il suo oggetto, l’opposizione agli atti esecutivi, che comporta la verifica dell’osservanza di regole processuali d’ordine pubblico e riguarda diritti di cui le parti non possono liberamente disporre, non è compromettibile in arbitri, a differenza dell’opposizione all’esecuzione che coinvolga diritti disponibili (7891/18 → RA 18, 543 – Luiso; GPC 18, 1059 – Capponi).
Quanto al significato della locuzione «regolarità formale», contenuta nel primo comma della disposizione in commento, si discute se i vizi rilevanti in sede di opposizione ex art. 617 c.p.c. siano solo quelli di nullità degli atti o se si debba, invece, far riferimento ad un concetto di «regolarità», autonomo e distinto dal concetto di nullità degli atti processuali, e tale da comprendere tutte le difformità dell’atto dal modello legale di riferimento, a prescindere dalla espressa previsione di legge o dall’inidoneità al raggiungimento dello scopo, richieste dall’art. 156 c.p.c., ai fini della rilevanza della nullità.
Secondo una tesi, infatti, l’irregolarità, che di regola non pregiudica l’idoneità dell’atto a conseguire il suo scopo e dunque non dà luogo ad un vizio invalidante, sarebbe eccezionalmente equiparata alle nullità nell’ambito del processo esecutivo, proprio in forza del richiamo espresso di cui all’art. 617 c.p.c..
Nel sistema dell’esecuzione forzata l’efficacia invalidante dell’irregolarità sarebbe, infatti, giustificata dalla peculiare posizione di soggezione del debitore di fronte al legittimo e congruo esercizio dei poteri esecutivi (Mandrioli-Carratta, 226). La disciplina dell’irregolarità, secondo questa opinione, andrebbe individuata applicando analogicamente gli artt. 156 ss. c.p.c..
Secondo ad una diversa impostazione (fatta propria dal Vaccarella e riconducibile, al Denti e a La China), viceversa, l’atecnica locuzione di irregolarità non designa una tipologia di vizi autonomamente deducibili con l’opposizione agli atti, quanto l’esigenza di individuare le nullità degli atti esecutivi a norma del secondo comma dell’art. 156 c.p.c., tenuto anche conto che vi è una sola ipotesi di nullità testuale nella disciplina del libro III del codice di procedura civile (l’art. 480, comma 2, c.p.c.) (in senso analogo, Luiso, 278; per una spiegazione della scelta legislativa di impiegare il termine irregolarità, Luiso, 279).
Infine, secondo un’opinione che può dirsi intermedia, le mere irregolarità formali sarebbero deducibili con l’opposizione agli atti esecutivi solo quando riguardano il titolo esecutivo, mentre nessun rilievo possono avere le mere irregolarità del precetto e degli atti successivi, censurabili solamente per nullità (Balena 2, 210).
È comunque pacifico che non sono deducibili con l’opposizione agli atti esecutivi, ma con l’opposizione all’esecuzione, i vizi di nullità del titolo esecutivo che determinano la carenza di efficacia esecutiva del titolo stesso e che, pertanto, importano la illegittimità sostanziale dell’esecuzione forzata eventualmente intrapresa (per difetto del diritto di azione esecutiva in capo al creditore procedente, e ferma l’eventuale successione soggettiva di titoli esecutivi).
Come è stato evidenziato, infatti, «se l’atto, in cui il titolo esecutivo consiste, è nullo, esso non ha effetti, e quindi non ha neppure l’effetto esecutivo» (Luiso, 279).
Secondo l’opinione maggioritaria, con l’opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c., è, in ogni caso, possibile contestare non solo l’irregolarità o la nullità dell’atto esecutivo (ovvero, la difformità di quest’ultimo dal suo modello legale), ma anche la violazione di norme processuali o sostanziali in cui sia incorso il g.e. (illegittimità) e la congruità delle modalità di svolgimento dell’azione esecutiva tramite il processo (inopportunità).
L’atto esecutivo è dunque impugnabile sia per vizi formali o di legittimità, che per profili inerenti alla congruità o all’opportunità dell’atto stesso e, sotto il profilo della ratio legis, tale interpretazione trova conforto nella necessità di apprestare una tutela adeguata al debitore, che rimarrebbe inappagata se affidata ai soli poteri di revoca o modifica del giudice dell’esecuzione (12120/03).
La funzione dell’opposizione agli atti esecutivi si è ampliata a seguito della modifica dell’art. 512 c.p.c. ad opera dell’art. 2, comma 3, lett. e), d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, con l. 14 maggio 2005, n. 80, che ha disciplinato le controversie distributive quali incidenti esecutivi, risolti dal giudice dell’esecuzione con ordinanza impugnabile ex art. 617 c.p.c. (Oriani, § 2).
In relazione a tale modifica, l’opposizione agli atti esecutivi può avere ad oggetto anche la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o la sussistenza di diritti di prelazione.
Rimane ferma la questione in merito alla natura incidentale o principale del relativo accertamento (per riferimenti, Canella, 768 ss.), e deve darsi atto che già secondo la giurisprudenza anteriore alla modifica su richiamata l’opposizione agli atti esecutivi rappresentava (e rappresenta), nelle fasi anteriori alla distribuzione del ricavato, la sede in cui determinare, con effetti limitati all’esecuzione in corso, l’ammontare o l’esistenza dei crediti ai fini, in particolare, della individuazione della somma di conversione ex art. 495 c.p.c. (6845/15; 6084/15; 7537/14; 22642/12; 6733/11; 20733/09 → REF 10, 5 – Capponi; # su quest’ultimo punto Metafora; aderendo alla giurisprudenza citata, analoga sarebbe la funzione dell’opposizione in parola con riferimento alla riduzione del pignoramento – 21325/10; 18533/07 –, alla limitazione del cumulo delle espropriazioni ex art. 483 c.p.c. – su cui v. Soldi, 369 ss. –, alla cessazione della vendita a lotti – su cui v. Farina 1 –, alla riduzione proporzionale ex art. 546, comma 2, c.p.c., all’estensione del pignoramento ex art. 499, comma 4, c.p.c., alla limitazione dell’espropriazione ex art. 558 c.p.c.; per un approfondimento, cfr. Tiscini).
Il criterio distintivo fra l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione agli atti esecutivi rimane, in generale, individuabile considerando che, con la prima, si contesta il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata per difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo ovvero – nell’esecuzione per espropriazione – della pignorabilità dei beni, mentre, con la seconda, si contesta solo la legittimità dello svolgimento dell’azione esecutiva attraverso il processo (8112/06; 16262/05; 11646/02; conf. 6083/06; per una fattispecie problematica, cfr., ad esempio, 18226/03).
2. Funzione. Sotto un profilo funzionale, l’opposizione agli atti esecutivi costituisce, il «rimedio di chiusura del sistema» per far valere le difformità dell’esecuzione forzata e degli atti preliminari all’esecuzione dal loro modello legale di riferimento, ogniqualvolta non sia previsto un diverso rimedio specifico (Oriani, § 2; Farina 6, § 1).
Il sistema di controllo di legittimità dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione (realizzato attraverso i rimedi alternativi della opposizione agli atti esecutivi, di cui all’art. 617 c.p.c., e del reclamo, di cui al successivo art. 630) esclude, così, che detti provvedimenti possano ritenersi sottoposti al (diverso) regime delle impugnazioni previsto, per le sentenze, dall’art. 323 del codice di rito, ed esclude, altresì, che, in relazione agli stessi, possa legittimamente parlarsi di definitività dell’atto giurisdizionale (di assenza, cioè, di ogni rimedio nell’ambito dell’ordinamento processuale), condizione necessaria affinché un provvedimento decisorio possa essere impugnato con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 cost. (2502/02: nella fattispecie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 111 cost. proposto dal debitore esecutato avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva respinto la sua richiesta di non far comparire – in ossequio alla l. 31 dicembre 1996 n. 675 sul trattamento dei dati personali – il nome di esso debitore nella pubblicità dell’incanto immobiliare; in materia, cfr. Fabiani).
Ad esempio, è stato ritenuto inammissibile il ricorso in cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il provvedimento con il quale, nel corso dell’esecuzione immobiliare, il giudice dell’esecuzione dichiara l’inefficacia della offerta di aumento di sesto, formulata ai sensi dell’art. 584 c.p.c., perché detta ordinanza, che è un atto di esecuzione, può essere impugnata ai sensi dell’art. 617 c.p.c. con l’opposizione agli atti esecutivi (5686/06; 16378/05).
Tale conclusione vale anche nelle ipotesi in cui l’ordinanza del giudice dell’esecuzione sia qualificata come irrevocabile dalla legge (Farina 6, § 5): in particolare, anche l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione provvede sull’istanza del debitore di limitazione dei mezzi di espropriazione ai sensi dell’art. 483 c.p.c., ancorché non revocabile da parte del giudice dell’esecuzione, né ricorribile per cassazione ex art. 111 cost., è suscettibile di opposizione ex art. 617 c.p.c. (2487/03).
Per altro verso, la natura generale dell’opposizione agli atti esecutivi ne determina la residualità: avverso il provvedimento di liquidazione del compenso in favore del notaio al quale siano state delegate le operazioni di vendita nei processi di espropriazione forzata mobiliare e immobiliare, emesso in data successiva all’entrata in vigore del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) – che, in forza del disposto dell’art. 3 concerne non solo gli ausiliari già indicati dall’abrogata l. n. 319 del 1980, ma anche qualunque altro soggetto competente in una determinata arte o professione che il magistrato o il funzionario addetto all’ufficio può nominare – non è ammissibile l’opposizione agli atti esecutivi, atteso che, pur provenendo la liquidazione del compenso dal giudice dell’esecuzione, sulla disciplina generale dei rimedi avverso gli atti esecutivi prevale, in ragione del carattere di specialità, quella speciale sui rimedi contro gli atti di liquidazione dei compensi agli ausiliari del magistrato (711/10; 1887/07). Il commissionario incaricato della vendita dei beni mobili potrà, invece, proporre opposizione agli atti esecutivi avverso il decreto che fissa il suo compenso ai sensi dell’art. 533, comma 3, c.p.c., non trovando applicazione le norme previste per la liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice (così, Soldi, 2259).
L’opposizione agli atti esecutivi serve, inoltre, a contestare le modalità concrete di esercizio dell’azione esecutiva sotto un profilo di opportunità/congruità ed illegittimità, assicurando la regolare e perfetta successione funzionale dell’attività esecutiva (secondo una interpretazione estensiva della locuzione di «regolarità», di cui all’art. 617 c.p.c., diffusa in dottrina e in giurisprudenza: cfr., al riguardo, ↑ § 1).
L’opposizione agli atti esecutivi è, invece, esclusa per le questioni inerenti all’attuazione di provvedimenti cautelari, operando in tal caso l’art. 669-duodecies c.p.c. (19101/03).
3. Struttura. Da un punto di vista strutturale, il giudizio di opposizione agli atti esecutivi è un ordinario giudizio di cognizione che si conclude con sentenza, che ha per oggetto la valutazione se un segmento del processo esecutivo si sia svolto o meno in modo conforme alle norme che lo regolano.
Per poter compiere tale valutazione il giudice ha il potere-dovere di acquisire il fascicolo del processo esecutivo, per prendere diretta conoscenza dello svolgimento di esso e degli atti compiuti dal giudice dell’esecuzione (12642/14); non è legittimo quindi il rigetto della domanda di opposizione sulla base della mancata produzione in giudizio da parte dell’opponente dell’atto contro cui si oppone, ovvero del titolo esecutivo, del cui tenore si discute (cfr. 29357/19; 1919/17; 7610/04).
A norma del primo comma dell’articolo in commento, l’opposizione agli atti pre-esecutiva, relativa alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, si propone con atto di citazione davanti al giudice della residenza dichiarata o del domicilio eletto dal creditore procedente ai sensi dell’art. 480, comma 3, c.p.c., o, in mancanza, davanti al giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato.
L’opposizione agli atti successiva, prevista dal secondo comma dell’articolo in epigrafe, si propone, invece, con ricorso al giudice dell’esecuzione e può avere ad oggetto le irregolarità del titolo esecutivo e del precetto che sia stato impossibile proporre prima dell’inizio dell’esecuzione, i vizi relativi alla loro notificazione e l’irregolarità, illegittimità ed inopportunità dei singoli atti del processo di esecuzione forzata.
Per le materie trattate nei capi I e II del titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile, le opposizioni agli atti esecutivi sono sempre introdotte con ricorso, in quanto si applicano le disposizioni previste per le controversie individuali di lavoro, nei limiti della compatibilità (cfr. l’art. 618-bis c.p.c.).
Nel caso di errore della parte nella scelta del modello dell’atto di introduzione o riassunzione del giudizio (ricorso in luogo della citazione, o viceversa), l’irregolarità deve ritenersi sanata, in base al principio generale di conservazione degli atti processuali, allorché l’atto in concreto posto in essere contenga tutti i requisiti di forma e contenuto necessari per il raggiungimento dello scopo; tuttavia, il rispetto del termine di decadenza è assicurato solo dalla attivazione (o riattivazione) del rapporto processuale con il compimento della prima formalità relativa al modello di atto effettivamente da porre in essere, con la conseguenza che, ove la introduzione/riassunzione del giudizio avvenga con atto di citazione, invece che con ricorso, rileva a tale ultimo fine la data di deposito dell’atto in cancelleria e non quella della sua notificazione, e viceversa (24379/19 → GI 20, 1378 – Scalvini; 403/19; 22256/18; 21406/14; 2907/14; 22848/13 → CG 13, 1613 – Carbone; 21675/13 → CG 13, 1462 – Carbone).
Di conseguenza, in materia di opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617, comma 2, c.p.c. (opposizione da proporsi con ricorso, che deve essere depositato in cancelleria nel termine perentorio di venti giorni), ove l’opposizione sia stata viceversa proposta con citazione, essa è tempestiva, in applicazione del principio di conservazione degli atti processuali, solo se il relativo atto risulti depositato nel rispetto del termine perentorio di venti giorni previsto dall’art. 617, comma 2, c.p.c. (2490/16; conf. 15019/16).
Per quanto attiene alla competenza sull’opposizione agli atti esecutivi, bisogna distinguere tra opposizione pre-esecutiva, di cui al primo comma dell’articolo in commento, e opposizione successiva, di cui al comma secondo.
Per le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, ai sensi del comma 1 dell’articolo in commento, è infatti competente il giudice indicato nell’articolo 480, comma 3, c.p.c. (alla cui analisi si rinvia).
Per le cause di opposizione a singoli atti esecutivi è competente il giudice davanti al quale si svolge l’esecuzione (art. 27, comma 2, c.p.c.).
Resta, dunque, sempre esclusa, anche nell’ipotesi di opposizione pre-esecutiva, la competenza del giudice di pace, incompetente nella materia dell’esecuzione forzata (14725/01; Mandrioli-Carratta, 234; Passafiume; per ulteriori considerazioni e profili applicativi, cfr. 1722/17; 22782/15; 17843/14; 16355/10).
Si segnala, al riguardo, che il d.lg. 13 luglio 2017, n. 116, come modificato dal d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 febbraio 2020, n. 8, ha disposto (con l’art. 32, comma 3) che le disposizioni dell’art. 15-bis c.p.c. (attributive di competenza in materia di espropriazione forzata di cose mobili al giudice di pace) entreranno in vigore il 31 ottobre 2025.
È da rammentare, infine, che nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata (compresa, dunque, l’opposizione agli atti esecutivi) non si applica la condizione di procedibilità prevista dall’art. 5, comma 1-bis, d.lg. 4 marzo 2010, n. 28, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali (cfr. art. 5, comma 4, d.lg. cit.), né quella di cui all’art. 3, comma 1, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, in materia di negoziazione assistita da uno o più avvocati (cfr. art. 3, comma 3, d.l. cit.).
Sulla struttura del giudizio, si v., altresì, l’art. 618 c.p.c.
4. Legittimazione attiva. Nonostante l’art. 617 c.p.c. sia inserito in un capo rubricato «Delle opposizioni del debitore e del terzo assoggettato all’esecuzione», tale intestazione non ha carattere limitativo, essendo, oramai, unanimemente riconosciuto che i soggetti legittimati a proporre opposizione agli atti esecutivi debbano essere individuati in base all’oggetto dell’opposizione medesima (Mandrioli-Carratta, 224 s.; Luiso, 280; Passafiume).
Legittimati alla proposizione dell’opposizione agli atti sono, dunque, tutti i soggetti che, con riferimento al singolo atto esecutivo impugnato, abbiano un interesse giuridicamente apprezzabile a che il processo esecutivo si svolga correttamente od opportunamente.
L’opposizione agli atti pre-esecutiva, volta a far valere l’irregolarità formale del titolo esecutivo e del precetto o la nullità della relativa notificazione, può, dunque, essere proposta dal debitore esecutato e/o, nell’ipotesi di espropriazione ex art. 602 c.p.c., dal terzo proprietario, i quali, in tanto possono essere assoggettati all’esecuzione, in quanto la stessa sia eseguita nel rispetto della legge.
Dopo l’inizio del processo esecutivo, legittimati attivi all’opposizione sono, oltre ai soggetti su indicati (cfr., con riferimento al debitore, 1098/21; 10808/20), anche i creditori (i quali potranno opporre, ad esempio, tutti gli atti che inopportunamente eliminano o diminuiscono la propria aspettativa di soddisfazione del credito) e, in generale, i destinatari degli effetti degli atti dell’esecuzione che abbiano un interesse rilevante alla loro rimozione.
Pertanto, sono stati ritenuti legittimati a proporre opposizione agli atti esecutivi, tra gli altri, l’offerente in aumento di sesto (cfr. 5686/06), l’offerente non aggiudicatario (↓), l’aggiudicatario provvisorio, decaduto (cfr. 13043/18; 17861/11) e definitivo (↓), (sulla rilevanza giuridica dell’interesse del terzo offerente e dell’aggiudicatario nel processo di espropriazione forzata, cfr. Farina 5, 434 ss.), il terzo debitore del debitore nell’espropriazione presso terzi (↓), il comproprietario non debitore del bene indiviso pignorato (Passafiume; Crivelli 2, § 2), il custode giudiziario, con riferimento agli atti esecutivi che incidano sulla sua posizione giuridica, quale l’ordinanza ex art. 593, comma 3, c.p.c. (Soldi, 2260). La legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi spetta anche al curatore del fallimento del debitore, già assoggettato ad esecuzione individuale, in forza della legittimazione ad intervenire nell’esecuzione ai sensi dell’art. 107, comma 6, l. fall. e quindi a divenire parte del processo esecutivo (cfr., in senso analogo, l’art. 216, comma 10, CCII). All’assuntore del concordato fallimentare può essere attribuita la qualifica di successore a titolo particolare del fallito e la conseguente legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., relativamente a procedura avente ad oggetto l’immobile di proprietà del debitore originario, nella sola ipotesi in cui vi sia stato il suo subingresso nelle singole posizioni debitorie con la contestuale liberazione di quest’ultimo (cfr. 24263/10).
Passando ad un’analisi casistica, è stato precisato che, nell’espropriazione forzata immobiliare, il terzo offerente non aggiudicatario è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi avverso i provvedimenti del giudice dell’esecuzione in quanto interessato al regolare svolgimento del processo esecutivo, sì da non restare pregiudicato da atti che assume non conformi alla legge (24550/14).
Qualora, ad esempio, uno dei partecipanti alla gara, nel formulare la sua offerta, abbia depositato la cauzione in una misura inferiore a quella prescritta dall’art. 571, secondo comma, c.p.c., gli altri partecipanti, oltre a poter far constatare dal giudice dell’esecuzione tale condizione di inefficacia, sollecitando l’esercizio dei suoi poteri officiosi, sono tenuti, in mancanza, nell’eventualità in cui lo stesso giudice provveda ad emettere l’ordinanza di aggiudicazione del bene in favore dell’offerente che abbia depositato la cauzione in modo incongruo, a proporre opposizione agli atti esecutivi avverso siffatta ordinanza (alla quale si trasmettono i vizi delle operazioni inerenti l’espletata vendita senza incanto), nel termine prescritto dall’art. 617 c.p.c., decorrente dalla conoscenza legale del provvedimento medesimo (ossia dal giorno della stessa udienza in cui l’ordinanza sia stata adottata, per le parti che vi abbiano partecipato o che siano state messe in condizione di parteciparvi, ossia dalla sua comunicazione da parte della cancelleria, nell’ipotesi di emissione fuori udienza) (6186/09).
Nella vendita a mezzo di commissionario, ai sensi dell’art. 532 c.p.c., e in caso di delega delle operazioni di vendita, ai sensi degli artt. 534-bis e 591-bis c.p.c., l’offerente non aggiudicatario potrà, invece, sollecitare il controllo del giudice dell’esecuzione sugli atti del professionista delegato o del commissionario con ricorso allo stesso giudice, il quale provvede con ordinanza, reclamabile ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., con conseguente inammissibilità dell’opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c. (cfr. gli artt. 534-ter e 591-ter c.p.c., come modificati dall’art. 13, comma 1, d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132 – v., sul punto, già i rilievi di Passafiume; sulla disciplina previgente, cfr., invece, 11817/18; 14707/06).
Secondo la giurisprudenza, qualsiasi errore commesso dal professionista delegato, se dovesse comportare, altresì, una nullità derivata del successivo atto di procedura compiuto dal giudice dell’esecuzione (ad esempio, il decreto di trasferimento o l’approvazione del piano di riparto), potrà, però, essere fatta valere impugnando quest’ultimo, per quanto qui interessa, ex art. 617 c.p.c.: eventuali nullità verificatesi nel corso delle operazioni delegate al professionista si trasmetteranno, infatti, agli atti successivi riservati al giudice dell’esecuzione (15441/20; 12238/19 → REF 19, 881 – Parisi; RDP 20, 869 – Abete; così, già Leuzzi 1, § 4; # Farina 2, 148; Farina 6, § 6; Parisi, 892; Abete, § 3).
Nel vigore della disciplina previgente, del resto, la Suprema Corte aveva ritenuto che, nell’ipotesi di mancata interposizione del reclamo, ex art. 591-ter c.p.c., avverso il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione impartisca istruzioni al professionista delegato prima che le istruzioni reputate erronee od inopportune siano eseguite (e, in generale, in tutte le ipotesi di mancata emersione “anticipata” di un atto del giudice dell’esecuzione, suscettibile di impugnazione nelle forme di cui all’art. 617 c.p.c., ai sensi dell’art. 591-ter nella sua versione previgente), restasse impregiudicata la facoltà di qualunque interessato di proporre, per l’eventuale illegittimità derivata, reclamo avverso gli atti successivi ovvero opposizione agli atti esecutivi avverso il primo atto del giudice dell’esecuzione conclusivo della relativa fase (8864/11, → REF 12, 3 – Campi).
Si segnala, che ai sensi dell’art. 23, comma 9, d.l. n. 83/2015, le nuove disposizioni si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto. Quando è già stata disposta la vendita, la stessa ha comunque luogo con l’osservanza delle norme precedentemente in vigore e le disposizioni in parola si applicano quando il giudice o il professionista delegato dispongono una nuova vendita. Si segnala, inoltre, l’art. 1, comma 12, lett. l), l. 26 novembre 2021, n. 206, che ha delegato il Governo di prevedere che l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione decide il reclamo possa essere impugnata con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c.
Per quanto attiene all’aggiudicatario definitivo del bene pignorato, anche quest’ultimo ha l’onere di far valere i vizi degli atti del processo esecutivo lesivi dei propri interessi (ad esempio e in particolare, il decreto di trasferimento), compresa l’ipotesi di aliud pro alio, con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, che va esperita – nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione – comunque entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria (7708/14 → NGCC 14, 873 – Cossignani; RDP 15, 1303 – Moschella; sul regime di impugnazione del decreto di trasferimento nell’ipotesi di aliud pro alio, cfr. Moschella; Cossignani).
In materia di espropriazione presso terzi, non ravvisandosi i presupposti per ridurre eccessivamente ed immotivatamente gli spazi di tutela per il terzo pignorato al terzo pignorato che non ha reso la dichiarazione di quantità, deve ritenersi tuttora assicurata la possibilità di proporre l’opposizione anche nelle forme ordinarie, a prescindere dai presupposti di ammissibilità indicati nell’art. 548, comma 2, c.p.c., laddove egli intenda far valere vizi propri del provvedimento di assegnazione, al di fuori delle situazioni che possano aver dato luogo ad una incolpevole omissione della dichiarazione di quantità (16234/22; 30090/21).
Si segnala, al riguardo, che l’opposizione agli atti esecutivi è, infatti, il rimedio tipico di cui potrà avvalersi il terzo pignorato per far valere i vizi di rito o di merito dell’ordinanza di assegnazione (11191/19; 3712/16 → REF 17, 207 – Merone; 20310/12 → REF 13, 382 – Bonafine), ferma l’ammissibilità dell’opposizione all’esecuzione per far valere fatti estintivi, impeditivi o modificativi della pretesa sopravvenuti alla pronuncia del titolo (11493/15) e nel caso di abnormità/inesistenza del titolo medesimo (in motivazione, 4505/11) (per una disamina della questione, cfr. Merone, Bonafine 1, anche per riferimenti al diverso orientamento espresso da 5489/19, 615/12, 5529/11, 14574/07, favorevole, viceversa, all’appellabilità dell’ordinanza di assegnazione ove avente contenuto cognitivo).
Nell’espropriazione per crediti personali di uno solo dei coniugi di un bene (o di più beni) in comunione legale (quale procedura esecutiva avente ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione), il coniuge non debitore può esperire le opposizioni agli atti esecutivi, facendo valere le nullità di quelli che comportino la violazione o la limitazione del suo diritto alla metà del controvalore del bene, come pure quelli che incidano sulla pienezza di quest’ultimo, se relativi alle operazioni di vendita o assegnazione (così, in motivazione, 6575/13 → FI 13, 3274 – Acone; NGCC 13, 663 – Costa; RDC 14, 790 – Pilloni; REF 14, 563 – Santagada; in dottrina, Leuzzi 2, § 1; Crivelli 2, § 2). Anche la dottrina che ha sostenuto la tesi dell’applicazione estensiva dello schema procedimentale della espropriazione contro il terzo proprietario all’espropriazione per crediti personali di uno solo dei coniugi di un bene (o di più beni) in comunione legale dei coniugi, è ferma nel ritenere che il coniuge non debitore potrà avvalersi di tutte le opposizioni di rito e di merito previste dall’ordinamento (Acone, ove ulteriori richiami; per un approfondimento delle varie teoriche in materia, cfr. Cardino; Leuzzi 2; per una chiara soluzione interpretativa, Balena 1).
Nel caso di esecuzione forzata avviata nei confronti di una società in nome collettivo, la giurisprudenza ha in passato ritenuto che il socio della stessa non possa proporre opposizione agli atti esecutivi, non essendo soggetto passivo di un’obbligazione avente lo stesso contenuto della obbligazione sociale, bensì titolare di una responsabilità di natura sussidiaria che non lo vincola ad eseguire la prestazione cui è obbligata la società, ma soltanto a sopportare le conseguenze dell’inadempimento di quest’ultima. Non constano precedenti recenti in termini.
Si esclude, altresì, la legittimazione attiva di colui che abbia acquistato il bene dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, essendo quest’ultimo legittimato soltanto a proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c., allo scopo di far valere l’eventuale inesistenza o la nullità della trascrizione, per sottrarre il bene all’espropriazione (oltre che partecipare alla distribuzione del prezzo ricavato dalla vendita forzata, eventualmente residuato dopo che siano stati soddisfatti il creditore procedente ed i creditori intervenuti nell’espropriazione) (8936/13 → RDP 14, 242 – Vincre; 15400/10; 1703/09; 15030/08; 16440/06; 14003/04).
Costituisce, del resto, orientamento consolidato (Soldi, 2259), quello secondo cui il terzo che si pretende legittimato all’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., e che faccia valere una situazione giuridica soggettiva sul bene esecutato o relativa al diritto che l’esecuzione è diretta a realizzare, a suo dire prevalente rispetto al diritto del creditore procedente di soddisfarsi e, quindi, impeditiva di tale soddisfazione, non ha interesse all’osservanza del quomodo del processo esecutivo, cioè delle regole del suo svolgimento, e non è dunque ammesso a far valere la situazione legittimante l’opposizione di terzo ai sensi del cit. art. 619 c.p.c.. – sia che proponga tale opposizione ai sensi dello stesso art. 619 c.p.c.., sia che non la proponga – anche per dolersi delle nullità del processo esecutivo e, quindi, per la proposizione dell’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. (15030/08).
Nonostante l’ampiezza della legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi, è stato evidenziato che la stessa non compete al quisque de populo, il quale, ad esempio, si affermi titolare di un potenziale interesse a rendersi acquirente del bene assoggettato ad espropriazione, ma non abbia dato concreta ed attuale consistenza e giuridica rilevanza a tale interesse con la partecipazione alla vendita (così Passafiume, sulla base di un parallelismo con la disciplina del reclamo di cui all’art. 26 l. fall.).
È stato, altresì, sottolineato che il soggetto cui sia stato notificato il pignoramento immobiliare, ancorché non sia proprietario dell’immobile sul quale è caduto il pignoramento, non è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi, per far valere l’irregolarità del procedimento esecutivo, atteso che, a norma dell’art. 617 c.p.c., solo il debitore ed il terzo assoggettato all’esecuzione, in quanto proprietari dei beni staggiti (art. 2910 cod. civ.), hanno interesse al corretto svolgimento del processo di esecuzione che si svolge nei loro confronti, mentre né il generico interesse a non essere esposto alla pubblicità di un procedimento esecutivo, né l’interesse a segnalare l’instaurazione di procedimenti esecutivi anomali configurano l’interesse ad agire, quale si ricava dall’art. 100 del codice di rito (anche in questo caso, non constano, tuttavia, precedenti recenti in termini).
È stato altresì ritenuto che la notifica del precetto intimato ad un condominio di edifici, eseguita nei confronti di persona diversa da quella che riveste la carica di amministratore del detto condominio, non può ritenersi idonea a fare assumere al destinatario della notificazione stessa la qualità di soggetto contro cui l’esecuzione forzata è minacciata in proprio (essendo l’amministratore non il soggetto passivo del rapporto ma il rappresentante degli obbligati), con conseguente difetto di legittimazione del medesimo a proporre opposizione iure proprio solo per contestare di rivestire la qualifica di amministratore del condominio intimato (5151/19).
Da ultimo, deve rammentarsi l’autorevole interpretazione secondo la quale il potere di proporre l’opposizione implica un onere di opposizione, con conseguente stabilità, in mancanza, degli atti non impugnati, non potendo questi ultimi essere contestati in altra sede, in forza di un’applicazione estensiva dell’art. 161 c.p.c. o del più generale principio di preclusione processuale (cfr. § 11).
5. Interesse ad agire. La legittimazione attiva dell’opponente non può andare disgiunta dall’interesse, giuridicamente rilevante, a proporre l’opposizione.
Tale interesse richiede, in generale, l’allegazione della posizione giuridicamente tutelata relativa allo svolgimento dell’esecuzione forzata (↑) e della sua lesione (con conseguente esigenza di tutela giurisdizionale).
Il corretto inquadramento del tema dell’interesse all’opposizione ex art. 617 c.p.c. richiede, tuttavia, di tener conto altresì della normativa in materia di nullità degli atti processuali ed impone alcune precisazioni in ordine all’atteggiarsi concreto del principio dell’interesse ad agire, di cui all’art. 100 c.p.c., nell’opposizione in parola.
Nell’ipotesi di opposizione pre-esecutiva – che, si ripete, ha ad oggetto la difformità degli atti preliminari all’esecuzione forzata o della relativa notificazione al modello di legge –, come anche nell’ipotesi di opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c., che abbia ad oggetto, parimenti, la difformità dell’atto opposto al modello di legge (e non, in particolare, la sua inopportunità), è stato, infatti, autorevolmente sostenuto che deve applicarsi un principio generale in materia di nullità degli atti processuali: l’opposizione può essere proposta ed andrà accolta sulla base del mero rilievo del vizio processuale, non dovendo l’opponente dimostrare alcuno specifico e concreto pregiudizio ulteriore alla mera esistenza della lamentata difformità (questa è, da tempo, l’opinione di Oriani).
In analogo ordine di idee, anche la giurisprudenza ha di recente precisato che la nullità testuale dell’atto di precetto che non contenga l’indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo esprime una valutazione preventiva ed astratta da parte del legislatore di pregiudizio certo dei diritti di difesa del debitore, al quale la legge intende assicurare la possibilità di raffrontare le pretese creditorie con il tenore del titolo esecutivo su cui le stesse si fondano, e può dunque esser fatta valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi a prescindere dalla deduzione di un pregiudizio effettivo subito dall’intimato in conseguenza del vizio medesimo (1096/21 → IDPCIeC 21, 282 – Giaquinto).
Poiché tutte le formalità necessarie per il regolare svolgimento del processo esecutivo, nonché della fase stragiudiziale ad esso preliminare e, in particolare, la necessità che il pignoramento sia preceduto dalla notificazione dell’atto di precetto e che la notificazione dell’atto di precetto sia preceduta dalla (o, quanto meno, avvenga contestualmente alla) notificazione del titolo spedito in forma esecutiva in favore del creditore, sono imposte specificamente ed espressamente dalla legge negli art. 474 e ss. c.p.c., la loro mancata osservanza può essere fatta valere dal debitore con l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c., onde ottenere la dichiarazione di inefficacia dei relativi atti esecutivi o pre-esecutivi viziati, senza che sia necessario allegare e dimostrare la sussistenza di alcun diverso ed ulteriore specifico pregiudizio, che non sia quello già insito nella circostanza che le formalità in questione non siano state correttamente rispettate (32838/21; in precedenza, in senso analogo 14090/14).
Secondo una diversa impostazione, invece, l’interesse ad agire in opposizione agli atti esecutivi potrebbe ritenersi sussistente solo quando sia astrattamente configurabile per l’opponente un’utilità dipendente dall’accertamento della nullità dell’atto (12326/05): la rilevanza della nullità (ad esempio, proprio della notificazione del titolo esecutivo) sarebbe, dunque, subordinata all’allegazione e prova, da parte dell’opponente, delle specifiche limitazioni o compressioni del diritto di difesa che, anche in rapporto alle peculiarità del caso di specie, ne siano derivate (10327/14), in forza del principio in virtù del quale l’ordinamento non appresta alcuna tutela all’interesse alla mera regolarità formale del processo, ovvero all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ed in forza del quale l’interesse a denunciare la violazione di una norma processuale in tanto sussiste in quanto ciò abbia comportato un pregiudizio alla sfera giuridica della parte (2294/18; conf. 12812/12).
L’interesse del debitore ad agire non sarebbe, dunque, sussistente in re ipsa (nell’interesse al corretto svolgimento del procedimento esecutivo), ma piuttosto subordinato all’allegazione di un pregiudizio subito in conseguenza dell’atto invalido ed all’indicazione di un risultato utile e concreto che si intenda conseguire con l’intervento del giudice (Passafiume).
In tale prospettiva, la presenza di irregolarità formali nel precetto può ritenersi sanata per il raggiungimento dello scopo a seguito della proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi in tutti i casi in cui l’opponente si limiti a lamentare l’esistenza della irregolarità formale in sé, senza lamentare alcun pregiudizio ai suoi diritti, tutelati dal regolare svolgimento della procedura esecutiva, conseguente alla irregolarità (nel caso di specie, l’opponente lamentava esclusivamente la mancata indicazione sul precetto della data di precedente notifica dei titoli esecutivi, senza contestare che la precedente notifica fosse stata effettuata e neppure di averla ricevuta e, quindi, di essere stato messo in condizione di adempiere spontaneamente prima ancora della notifica del precetto, né di essere stato efficacemente richiamato alla sua posizione di parte inadempiente, con la notifica del precetto, e messo in condizione di adempiere nel termine indicato nel precetto stesso, evitando l’esecuzione forzata) (19105/18).
Ancora, con riferimento ai vizi del contraddittorio nel processo esecutivo, è stata ritenuta inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi fondata sulla mera violazione del principio del contraddittorio, ove l’opponente non indichi sotto quale concreto profilo quella violazione abbia pregiudicato il suo diritto di difesa (cfr. 22279/10; 16731/09; 1618/05); di conseguenza, nell’opposizione agli atti esecutivi, le ragioni per le quali la lesione del contraddittorio abbia comportato l’ingiustizia dell’atto dell’esecuzione contestato, causata dall’impossibilità di difendersi a tutela di un proprio diritto, dovrebbero essere poste a fondamento dell’impugnazione e, pertanto, tempestivamente dedotte in sede di opposizione (nella specie, la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha riconosciuto la correttezza della statuizione del giudice del merito, che aveva reputato tardiva la deduzione, da parte degli opponenti, dell’omessa comunicazione di un provvedimento di revoca della sospensione dell’esecuzione, in quanto svolta soltanto nella memoria di replica depositata dopo la precisazione delle conclusioni) (1609/12).
Ciò in quanto, nel processo di esecuzione, il diritto del cittadino al giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost. (come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999), andrebbe sì soddisfatto, attraverso il contraddittorio tra le parti, ma esclusivamente in quelle fasi processuali in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. Ne deriverebbe, non potendosi configurare un generico ed astratto diritto al contraddittorio, l’inammissibilità dell’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare a fondamento dell’impugnazione stessa le ragioni per le quali tale lesione abbia comportato l’ingiustizia del processo stesso, causata dall’impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette (24532/09; 12122/03).
Analogamente, nel caso di accertata violazione delle disposizioni che disciplinano le modalità dell’incanto, si è ritenuto (in questa ottica) che il giudice, pur avendo constatato un’illegittimità della procedura, non deve accogliere l’opposizione se non venga dimostrato che dalla stessa sia derivata la lesione dell’interesse del debitore a conseguire dalla vendita il maggior prezzo possibile per aver impedito ulteriori e più convenienti offerte di acquisto (14774/14; 3950/06 → REF 06, 11 – Tota; # 24570/18).
In altri termini, il soggetto munito di legitimatio ad causam con riguardo all’opposizione agli atti esecutivi dovrebbe ritenersi fornito del diritto di provocare un controllo del giudice sulla legittimità degli atti processuali qualora si tratti di rilevare una nullità o un vizio del procedimento, solo se sussista un interesse reale ad evitare l’«ingiusto danno» di cui all’art. 100 c.p.c. (Tota).
Questo secondo orientamento giurisprudenziale sembra, tuttavia, dimenticare come sia difficile ritenere che esistano regole processuali che possono «essere disapplicate perché non funzionali al rispetto del fondamentale diritto di difesa» (Capponi).
La rilevanza dell’invalidità (o irregolarità) degli atti pre-esecutivi ed esecutivi non può, dunque, essere subordinata alla prova di un pregiudizio effettivo: come è stato da tempo evidenziato, infatti, il pregiudizio è in re ipsa, tenuto conto degli effetti dell’esecuzione forzata nella sfera giuridica dell’esecutato, e, si può aggiungere, quanto ai creditori, della funzionalizzazione dell’esecuzione alla tutela di diritti soggettivi (# su quest’ultimo punto, Soldi, 2264, che sostiene che l’interesse ad agire dei creditori sia subordinato alla prova dell’eliminazione o diminuzione dell’aspettativa di soddisfacimento del credito in conseguenza dell’atto illegittimo).
L’opinione appare confermata, con riferimento ai vizi del contraddittorio, dal disposto dell’art. 485, comma 2, c.p.c.
Il contrario orientamento su esposto, tuttavia, esprime un’effettiva esigenza di economia processuale, costituzionalmente tutelata dall’art. 111 Cost.: esso potrebbe essere riportato a sistema considerando che la rilevanza della difformità dal modello legale è comunque subordinata alla allegazione e prova dell’inidoneità dell’atto al raggiungimento del proprio scopo processuale ed astratto, ex art. 156, comma 2, c.p.c., ogniqualvolta la nullità non sia espressamente comminata dalla legge (per un’interessante argomentazione che, al di là delle enunciazioni di principio, pare prendere le mosse proprio dallo scopo della norma violata, cfr. 7999/15).
Per quanto attiene all’opposizione successiva, ex art. 617, comma 2, c.p.c., invece, sono pacificamente prospettabili non solo vizi di difformità dell’atto dal proprio modello legale (vizi di validità), ma anche meri profili di inopportunità degli atti dell’esecuzione forzata (vizi di inopportunità). Risultano rilevanti, inoltre, i profili di illegittimità dell’atto di esecuzione, derivanti da un errore del g.e. nella ricostruzione dei fatti e/o nella relativa valutazione giuridica, anche qualora non trasmodino in un vizio di conformità dell’atto illegittimo al modello legale (vizi di illegittimità).
In assenza di un vizio di nullità dell’atto processuale, può, dunque, ritenersi che sia configurabile un interesse reale alla rimozione dei suoi effetti, solo ove l’atto abbia incidenza dannosa nella sfera degli interessati. È pertanto, inammissibile l’opposizione ex art. 617 c.p.c. – per carenza di interesse – allorché investa provvedimenti del giudice dell’esecuzione che abbiano finalità di mero governo del processo, come è tipicamente quello di rinvio dell’udienza, salvo che detti provvedimenti non siano abnormi, e cioè rechino statuizioni non coerenti con la funzione riconosciuta ad un determinato atto dall’ordinamento, e pregiudizievoli per le parti (nel caso di specie, la Suprema Corte ha escluso la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’opposizione, in quanto il rinvio dell’udienza venne contenuto in un breve arco temporale e motivato dal giudice con la necessità di acquisire documentazione rilevante ai fini della definizione del processo esecutivo) (2968/13).
Con riferimento all’interesse ad agire, va richiamato, infine, l’orientamento in forza del quale l’estinzione, anche cd. atipica, del procedimento esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il giudizio di opposizione agli atti esecutivi (1353/12, con riferimento alle ipotesi di chiusura anticipata o estinzione atipica; in motivazione, con riferimento all’estinzione tipica, cfr. 23084/05 → REF 06, 4 – Tota). Secondo un orientamento, la stessa conclusione vale per l’ipotesi di caducazione del titolo esecutivo in base al quale sono stati compiuti gli atti della procedura (6822/15 # 6840/15; 21323/07, che ritengono, viceversa, che la caducazione del titolo esecutivo non faccia venir meno l’interesse alla definizione del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, tenuto conto dell’esigenza di regolamento delle spese processuali). La ratio della cessazione della materia del contendere va individuata nel fatto che la caducazione del processo esecutivo esaurisce l’interesse ad ottenere l’invalidazione dei singoli atti che lo compongono.
Non è possibile, dunque, ritenere cessata la materia del contendere sull’opposizione, ogniqualvolta permanga l’interesse dell’opponente a conseguire la eventuale dichiarazione di illegittimità degli atti di esecuzione e la conseguente eventuale caducazione degli stessi (9060/18, nel caso di surrogazione di un terzo nei diritti del creditore procedente; 7999/15, per l’ipotesi in cui il processo esecutivo sia giunto all’epilogo fisiologico della distribuzione del ricavato; la stessa conclusione dovrebbe valere anche nel caso di caducazione del titolo esecutivo, ogniqualvolta oggetto dell’opposizione sia un atto che, nonostante l’evento sopravvenuto, conserva la propria efficacia: si vedano, ad esempio, per il decreto di trasferimento, gli artt. 632, comma 2, c.p.c. e 187-bis disp. att. c.p.c. e, in giurisprudenza, 21110/12 → DG 12, 1145 – Nocera; CG 13, 387 – Capponi; FI 13, 1234 – Longo; RDP 13, 1551 – Vincre; GT 13, 373 – Piciocchi; GC 13, 997 – Campi; nonché, per l’ipotesi della presenza di altri creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, 61/14 → RDC 14, 481 – Capponi; REF 14, 297 – Monteleone, Russo, Monteleone, Pilloni; CG 14, 971 – Metafora).
6. Legittimazione passiva e litisconsorzio necessario. Nell’opposizione agli atti pre-esecutiva, ex art. 617, comma 1, c.p.c., legittimato passivamente è il creditore precettante.
Nell’opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c. devono essere convenute tutte le parti del procedimento esecutivo (debitore; terzo assoggettato all’esecuzione; creditore procedente; creditori intervenuti), nonché gli ulteriori soggetti interessati, in quanto destinatari degli effetti dell’atto di esecuzione impugnato (Soldi, 2260). Così, in particolare, «laddove vengano opposti provvedimenti relativi alla vendita (dei quali si contesti la validità formale o sostanziale), saranno legittimati passivi l’offerente in aumento e l’aggiudicatario» (Passafiume, § 3).
Tutti coloro ai quali spetta la legittimazione passiva nel giudizio di opposizione agli atti devono ritenersi litisconsorti necessari del relativo giudizio (Soldi, 2261; Passafiume, § 3; cfr. anche 972/09).
Per le modalità di instaurazione del contraddittorio, cfr., in particolare, gli artt. 618, 102, 331 c.p.c.
Nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi ai fini della integrità del contraddittorio è, dunque, indispensabile la presenza del debitore esecutato, del creditore procedente e di quelli intervenuti, mentre l’aggiudicatario riveste la qualifica di litisconsorte necessario soltanto allorché l’opposizione investa questioni attinenti alla aggiudicazione (11187/07).
La necessità di integrare il contraddittorio con tutti i soggetti controinteressati rispetto all’azione spiegata dall’opponente, nel rispetto della regola del litisconsorzio necessario, deve essere verificata con riferimento al momento della proposizione della domanda (17441/19).
Per quanto riguarda i creditori – il cui interesse alla regolarità di ciascun atto esecutivo è evidente, in quanto idonea a determinare un diverso esito della procedura, sia in ordine alla sua conclusione, sia con riferimento alla distribuzione della somma ricavata (4503/11) –, il litisconsorzio processuale è necessario con coloro che rivestano la qualità di procedente o di interventore al momento in cui la singola opposizione sia instaurata, non rilevando a tal fine gli interventi successivamente dispiegati (18110/11, che ha, altresì, precisato che la parte che eccepisce la non integrità del contraddittorio ha l’onere non soltanto di indicare le persone che debbano partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari e di provarne l’esistenza, ma anche quello di indicare gli atti del processo di merito dai quali dovrebbe trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione).
Il ricorso per cassazione dovrà dunque essere proposto nei confronti di tutti i creditori procedenti o intervenuti al momento della proposizione dell’opposizione, e contenere, a pena di inammissibilità ex art. 366, comma 1, n. 3), c.p.c., l’esatta indicazione dei litisconsorti necessari, al fine di consentire la verifica dell’integrità del contraddittorio ed eventualmente ordinarne l’integrazione ai sensi dell’art. 331 c.p.c. (11268/20).
Nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi promosso avverso le ordinanze di vendita ed aggiudicazione, come detto, la presenza dell’aggiudicatario, in quanto litisconsorte necessario ex art. 102, comma 1, c.p.c., è di regola indispensabile ai fini della integrità del contraddittorio; è stato tuttavia ritenuto inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso per cassazione della parte soccombente (nella specie, i debitori esecutati opponenti) avverso la sentenza resa nel giudizio in cui non sia stato dato, ad opera del giudice, l’ordine di integrazione verso gli aggiudicatari pretermessi, se dalla conseguente partecipazione la parte ricorrente non avrebbe tratto alcun vantaggio, essendo risultate infondate tutte le altre censure mosse alla sentenza impugnata, e non sia nemmeno astrattamente ipotizzabile che la predetta partecipazione si sarebbe risolta in una decisione di contenuto diverso e favorevole alla stessa parte soccombente (2461/09).
Il coniuge rimasto estraneo all’aggiudicazione, viceversa, sebbene litisconsorte necessario in tutte le controversie aventi ad oggetto diretto e immediato il diritto dominicale, non rivestirebbe tale qualità nell’opposizione agli atti esecutivi con cui si denuncia l’illegittimità del decreto di trasferimento, poiché l’acquisto della comproprietà del bene ope legis non attribuisce a tale soggetto la veste di parte del negozio acquisitivo (6091/15). Tale orientamento, apparentemente conforme alla tesi sostenuta dalla maggioritaria giurisprudenza di legittimità in materia di legittimazione passiva nelle azioni di invalidità/inefficacia di atti aventi ad oggetto immobili in comunione legale (16559/13 → IP 13, 598 – Triola; 2082/13; 9660/09 → CM 09, 633 – Travaglino; FPS 09, 751 – Scarano; FD 09, 1099 – Farolfi; DFSC 09, 467 – Penta; N 10, 25 – Scotti; IP 10, 301 – Chessa; GI 10, 79 – nota di richiami; RDP 10, 711 – Finocchiaro), deve tuttavia valutarsi più attentamente alla luce dell’argomentazione da ultimo esplicitata dalla Suprema Corte per escludere il litisconsorzio necessario del coniuge non debitore nel giudizio ex art. 2901 c.c. Tale argomentazione, infatti, fa ormai esplicitamente leva sul rilievo che l’accoglimento dell’azione ex art. 2901 c.c. non determina alcun effetto restitutorio né traslativo destinato a modificare la sfera giuridica del coniuge in regime di comunione, comportando esclusivamente l’inefficacia relativa dell’atto in riferimento alla sola posizione del coniuge debitore e nei confronti del solo creditore che ha promosso l’azione, senza caducare, ad ogni altro effetto, l’atto di disposizione (17021/15; principio ripreso da 18707/21; su tale ratio decidendi cfr., mutatis mutandis, già Penta). Essa non sembra, dunque, spendibile in materia di opposizione agli atti esecutivi, il cui accoglimento comporta, senz’altro, la invalidazione dell’atto impugnato e dei relativi effetti, con conseguente restituzione del bene alla soggezione all’esecuzione individuale. L’esigenza di tutelare la posizione del coniuge dell’acquirente dovrebbe, dunque, essere più attentamente presa in considerazione, soprattutto nell’ottica che attribuisce all’istituto di cui all’art. 102 c.p.c. anche la funzione di tutelare il contraddittorio, e fermi gli eventuali correttivi alle «conseguenze disastrose» della pretermissione della parte necessaria (per considerazioni sistematiche, cfr. Finocchiaro, ove ulteriori richiami; per gli accennati «correttivi», invece, v. Proto Pisani, § 6).
In tema di espropriazione contro il terzo proprietario, secondo il più recente orientamento della Suprema Corte, nel giudizio di opposizione ex art. 617, comma 1 o 2, c.p.c., si configura sempre litisconsorzio necessario iniziale fra il creditore, il debitore diretto ed il terzo proprietario (17113/18; 26523/17; 2333/17; 2333/17 → GD 17, 69 – Piselli; # 20580/07).
Parimenti, è da segnalare la progressiva consolidazione dell’orientamento della Corte di cassazione in forza del quale, nei giudizi di opposizione esecutiva relativi ad una espropriazione presso terzi ai sensi degli artt. 543 c.p.c. e ss., il terzo pignorato è sempre litisconsorte necessario (9000/22; 39973/21; 13533/21 → IPC 21 – Lauropoli; DG 21 – Papagni).
Secondo l’orientamento che si sta affermando, un interesse del terzo ad interloquire sulla fondatezza dell’opposizione esecutiva sussiste sempre, in astratto, quale che sia l’atteggiamento che questi abbia assunto dopo il pignoramento.
Sembra, così, superato il precedente indirizzo secondo il quale il terzo pignorato è parte necessaria nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi solamente qualora sia interessato alle vicende processuali oggetto della cognizione endoesecutiva, e, in particolare, quando si controverta della legittimità e validità del pignoramento da cui dipenda la liberazione dal relativo vincolo, ove abbia un interesse all’accertamento dell’estinzione del suo debito per non essere costretto a pagare di nuovo al creditore del suo creditore (3899/20; 13191/15; 5342/09; 3276/08; 15374/07; 11928/06; 11360/06; cfr. anche 10813/2020, in materia di opposizione avverso l’ordinanza di assegnazione di crediti di mantenimento di figlio minorenne, – per la negazione della necessarietà della partecipazione del terzo al giudizio ex art. 617 c.p.c. in relazione alla sua qualità di custode, anche se interessato alle vicende del processo per adeguarvi il suo comportamento, cfr., invece, 11585/09; 14106/05).
Per un primo commento al nuovo orientamento, v. Saletti; Lauropoli.
Estranee al giudizio di opposizione agli atti restano le parti di altro procedimento esecutivo eventualmente riunito a quello che ha dato origine all’opposizione (11187/07).
Nel caso di riunione in un unico processo dei pignoramenti eseguiti da più creditori in danno degli stessi debitori, coesistono, infatti, nell’unico processo esecutivo diverse esecuzioni che si svolgono parallelamente; pertanto, le opposizioni agli atti esecutivi proposte distintamente dai singoli debitori, pur dando luogo ad un unico processo di cognizione, concretano distinti e paralleli rapporti processuali tra ciascuno dei debitori esecutati ed i rispettivi creditore pignorante e creditori intervenuti. Ne consegue che l’integrità o meno del contraddittorio deve essere accertata separatamente per ciascuno di tali rapporti processuali di opposizione, con conseguente illegittimità dell’ordine di integrazione del contraddittorio (e, in caso di sua inosservanza, della declaratoria di estinzione del relativo processo) nei confronti di soggetti che siano estranei al rapporto ad esso afferente, ancorché litisconsorti necessari in altro dei coesistenti rapporti (11885/11).
Cfr., sul punto, Soldi, 2261, che evidenzia come talora la caducazione di un atto esecutivo possa incidere sull’intera procedura riunita, con conseguente interesse di tutte le parti ad interloquire al riguardo.
7. Casistica dei vizi deducibili. Come si è anticipato trattando dell’oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi, l’annullamento di un atto preliminare del processo esecutivo può essere chiesto in forza di un vizio di irregolarità/nullità dello stesso; l’annullamento di un atto dell’esecuzione forzata può essere chiesto per ragioni di nullità/irregolarità, di illegittimità o di inopportunità.
Prima di enucleare alcuni dei vizi deducibili con l’opposizione in parola, giova evidenziare che, secondo la giurisprudenza, nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi si ha mutatio libelli quando si avanzi un motivo di contestazione della regolarità formale di un atto del processo esecutivo diverso da quello posto a fondamento dell’atto introduttivo dell’opposizione, facendo così valere una causa petendi fondata su un vizio dell’atto non prospettato prima, con l’effetto di porre un nuovo tema d’indagine e di ampliare i termini della controversia. Ne consegue, pertanto, che il motivo di opposizione agli atti esecutivi proposto nel corso del processo è inammissibile, a prescindere dal fatto che attenga ad un vizio dello stesso atto opposto e che comporti identico petitum di annullamento (o revoca o modifica) del medesimo atto, irrilevante essendo, altresì, la presenza – nel ricorso ex art. 617 c.p.c. – di una riserva «di ulteriormente sviluppare i motivi», la quale non può legittimare la proposizione di motivi nuovi (18761/13).
Tale inammissibilità, stando ad alcune pronunce, deriverebbe anche dalla circostanza che non possono essere dedotti motivi di opposizione agli atti esecutivi successivi al termine di decadenza fissato per la proposizione della domanda (11566/13; 17319/11; 16541/11; per le confusioni concettuali derivate da una tale impostazione, cfr. però, 8501/21 → J 21 – Sassani-Capponi, e la relativa nota critica).
Per quanto riguarda i vizi concernenti la regolarità formale del titolo esecutivo è stato affermato che la denuncia dell’erronea apposizione della formula esecutiva configura opposizione agli atti esecutivi allorquando si faccia riferimento solo alla correttezza della spedizione del titolo in forma esecutiva (di cui non si ponga in dubbio l’esistenza); viceversa, allorché la denuncia sia motivata dalla contestazione dell’inesistenza del titolo esecutivo ovvero dalla mancata soddisfazione delle condizioni perché l’atto acquisti l’efficacia di titolo esecutivo (come, ad esempio, quando si deduca la mancata prestazione della cauzione, cfr. 24279/10; 13069/07), l’opposizione deve qualificarsi come opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. (Cass. n. 25638/2013). Per alcune fattispecie applicative, 29804/19; 25568/08; 15378/06; 24812/05 → REF 06, 5 – Tota; 3400/01.
Il rilascio della copia del titolo in forma esecutiva a persona diversa da quella in cui favore il titolo sia stato emesso non dà luogo a nullità o inefficacia del titolo, ma costituisce una irregolarità che deve essere fatta valere a norma dell’art. 617 ed alla medesima irregolarità, da denunciare negli stessi modi, dà luogo la circostanza che il rilascio del titolo in forma esecutiva, per quanto avvenuto nei confronti di uno dei soggetti in cui favore sia stato emesso il titolo, sia poi notificato al debitore, antecedentemente o contestualmente al precetto, da altro soggetto in cui favore pure il titolo sia stato emesso (24548/14).
La mancata esibizione del titolo esecutivo all’ufficiale giudiziario va fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi (8306/08).
Per ulteriori ipotesi di opposizioni ex art. 617, comma 1, c.p.c. con cui si facciano valere vizi di regolarità del titolo, cfr. Soldi, 2274 ss.
Con riferimento ai vizi concernenti la regolarità formale dell’atto di precetto è stata affermata la nullità del precetto che non individui, soggettivamente od oggettivamente, il diritto di cui si intima l’adempimento (Bove).
Sotto il profilo soggettivo, lo stesso art. 480, comma 2, c.p.c. dispone che il precetto deve contenere a pena di nullità l’indicazione delle parti; tuttavia, l’omessa indicazione nell’atto di precetto e nel titolo del nome di battesimo dell’opponente non determina alcuna nullità ove, da altri elementi emergenti dall’atto medesimo, sia facilmente ed esattamente individuabile il destinatario del titolo e dell’atto opposto (T. RM 11.1.13 → DeJure); anche l’omissione del codice fiscale è irrilevante e non determina la nullità dell’atto giudiziario se l’atto è comunque idoneo al raggiungimento dello scopo, e tale da non determinare un’incertezza assoluta in ordine al soggetto contro il quale è stata proposta la domanda (T. MS 22.6.15 → DeJure: nel caso di specie, l’atto di precetto era stato notificato unitamente alla sentenza di condanna, nella quale tutti i dati delle parti erano correttamente riportati e comunque vi erano elementi di fatto tali da non permettere di ingenerare la minima confusione nemmeno sull’individuazione della prestazione intimata). La mancanza, in un atto di precetto notificato da un condominio, delle generalità dell’amministratore è vizio che attiene alla regolarità formale del precetto, e non riguarda i presupposti dell’azione esecutiva. Pertanto, tale vizio dev’essere fatto valere dal debitore esecutato con l’opposizione agli atti esecutivi, nel termine per questa previsto, e non con l’opposizione all’esecuzione (4896/11).
Per quanto attiene all’individuazione, sotto un profilo oggettivo, dell’obbligo di cui si chiede l’adempimento, si è ritenuto che configuri opposizione agli atti esecutivi la deduzione della nullità del precetto per omessa descrizione degli immobili di cui si chiede il rilascio (24047/09), come anche l’opposizione a precetto basata sulla mancata specificazione della somma dovuta, in quanto vizio attinente alle modalità di redazione dell’atto e, quindi, alla regolarità formale dello stesso (10296/09).
L’omissione nel precetto dell’avvertimento previsto nel 1° comma dell’art. 480 c. p. c., secondo cui, in difetto di adempimento dell’obbligazione risultante dal titolo esecutivo, si procederà ad esecuzione forzata, non comporta nullità, non essendo comminata dalla legge siffatta sanzione, contrariamente a quanto stabilito con riferimento a taluni elementi del precetto dall’art. 480, comma 2, c.p.c., né integrando quell’avvertimento un elemento essenziale del precetto.
Anche l’omesso avvertimento di cui all’art. 480, comma 2, c.p.c. non comporta la nullità del precetto ma una mera irregolarità dello stesso (T. MI 15.7.2016 → OneLegale # T MI 23.12.2015 @).
Si è inoltre evidenziato che il precetto deve indicare, a pena di nullità, la data di notifica del titolo esecutivo qualora questa sia stata effettuata separatamente, senza che alle eventuali lacune sia dato di sopperire con indicazioni emergenti da altri atti di precetto previamente notificati alla stessa parte (4787/01). L’opponente a precetto può limitarsi ad eccepire la mancanza di tale requisito, senza incorrere in alcun onere probatorio, gravando sull’autore dell’atto l’onere di fornire la prova dei requisiti di validità e di efficacia dell’atto che compie (14090/14).
La nullità dell’atto di precetto comminata dall’art. 480, comma 2, c.p.c., esprime, infatti, una valutazione preventiva ed astratta del legislatore di pregiudizio certo dei diritti di difesa del debitore intimato, al quale la legge intende assicurare la possibilità di raffrontare le pretese creditorie con il tenore del titolo esecutivo su cui le stesse di fondano (1096/21 ↑ # 25433/14).
Anche la mancata trascrizione del titolo esecutivo nel precetto intimato in base a cambiale o ad assegno, che è prescritta per la sua individuazione, ne determina la nullità, è deducibile con l’opposizione ex art. 617 e non consente equipollenti. Ne consegue che tale adempimento non può ritenersi soddisfatto dalla conoscenza che la parte intimata con il precetto possa averne avuto altrimenti, ancorché in conseguenza della notificazione di un precedente precetto (5168/05).
Può esser fatta valere con l’opposizione formale anche l’inottemperanza agli oneri posti dall’art. 477 c.p.c. per l’esecuzione forzata avverso gli eredi del debitore risultante dal titolo.
In linea generale, l’utilizzabilità del rimedio di cui all’art. 617 c.p.c. per far valere i vizi dell’atto di precetto è un argomento a favore della tesi secondo la quale il precetto è un atto esecutivo, e non stragiudiziale, come viceversa ritenuto dalla giurisprudenza (Bove).
La tesi è confermata dal rilievo che il processo esecutivo, che sia iniziato senza essere preceduto dalla notificazione o dalla valida notificazione del titolo esecutivo e/o dell’atto di precetto (ex art. 479 c.p.c.), è viziato da invalidità formale, che può essere fatta valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (1096/21 ↑; 24662/13; 15275/06).
A tal riguardo, è stato difatti precisato che la mancata notificazione del titolo esecutivo (o la sua giuridica inesistenza) non è sanabile per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c., in conseguenza della mera introduzione di un’opposizione endoesecutiva (23894/12; in motivazione, 5906/06 # pure in motivazione, 15378/06; in punto di onere della prova del relativo vizio, cfr. 14090/14).
Per quanto riguarda, invece, l’ipotesi di nullità della notificazione del titolo o del precetto, il vizio viene per lo più ritenuto sanabile per raggiungimento dello scopo: secondo un primo maggioritario orientamento, la sanatoria consegue anche all’opposizione agli atti esecutivi con cui il debitore deduca esclusivamente la nullità suddetta (38625/21; 25900/16; 14495/2013 13038/13; 23894/12; 5591/11; 6957/07; 5906/06; 9185/00; si è specificato, però, che tale sanatoria presuppone che l’esecutato abbia comunque avuto un termine utile per evitare il pignoramento, cfr. 25900/16; 14209/14); secondo un più rigoroso orientamento (che, a mio avviso, appare preferibile) occorre comunque accertare, ai fini della sanatoria, che il debitore abbia avuto una sufficiente conoscenza del titolo esecutivo in forza del quale l’esecuzione è stata minacciata od è iniziata (ad esempio, per aver l’opponente articolato, congiuntamente alle censure formali ex art. 617 c.p.c., anche censure nel merito, cfr. 19498/13). La Suprema Corte ha altresì chiarito che, se il vizio di notificazione dell’atto di pignoramento è di regola sanato dalla mera proposizione dell’opposizione, a meno che l’opponente non deduca contestualmente un concreto pregiudizio al diritto di difesa verificatosi prima che egli abbia avuto conoscenza dell’espropriazione forzata, oppure che la notificazione sia radicalmente inesistente, in quanto del tutto mancante o priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, diversamente, il vizio di notificazione dell’atto di precetto non è sanato dalla mera proposizione dell’opposizione se, prima che l’intimato ne abbia avuto conoscenza, il creditore abbia eseguito comunque il pignoramento (11290/20; conf., di recente, 18112/22).
Le contestazioni concernenti la regolarità formale del titolo e/o del precetto possono farsi valere, oltre che nelle forme previste dall’art. 617, comma 1, c.p.c., anche ad esecuzione già avviata, ove sia stato impossibile dedurle in precedenza a causa di un vizio della notificazione degli atti preliminari all’esecuzione forzata o nell’ipotesi di esecuzione immediata, autorizzata ex art. 482 c.p.c. (cfr., per approfondimenti, Soldi, 2290 ss.).
Per quanto concerne l’opposizione ai singoli atti di esecuzione, ex art. 617, comma 2, c.p.c., è impugnabile il pignoramento che, ad esempio, non contenga l’ingiunzione al debitore di astenersi dagli atti diretti a sottrarre alla garanzia del credito i beni assoggettati alla espropriazione ed i frutti di essi (cfr., nella varietà delle impostazioni e della casistica, 6807/16; 2473/09; 1308/02 → GI 02, 915 – note di richiami) o che non contenga l’avvertimento ex art. 492, comma 3, c.p.c. sulla facoltà di conversione (ferma ogni considerazione in ordine alla rilevanza del relativo vizio – cfr. 6662/11; 8408/11; per un quadro completo, anche in relazione all’avvertimento introdotto dal d.l. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con l. 30 giugno 2016, n. 119, v. Cirulli 1, 11 ss.).
I vizi del provvedimento del giudice dell’esecuzione con il quale venga conferito all’esperto l’incarico per la redazione della relazione di stima del bene da vendere con l’indicazione del suo relativo stato di possesso, da riportare nel successivo bando, atto preparatorio rispetto all’ordinanza di vendita, possono esser fatti valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi avverso quest’ultima (12637/18; 12275/08; conf. 1289/03, in materia di provvedimento di nomina del consulente per la determinazione del valore del bene pignorato finalizzato alla decisione sull’istanza di riduzione del pignoramento).
Il decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 530 c.p.c. è stato ritenuto autonomamente impugnabile per far valere la violazione del termine dilatorio previsto dall’art. 501 c.p.c., sul presupposto che tale nullità non potrebbe essere dedotta oltre l’udienza fissata per l’autorizzazione della vendita, avendo quest’ultima funzione preclusiva rispetto agli atti compiuti in data anteriore alla stessa, salva l’ipotesi di omessa comunicazione del decreto medesimo (564/03). La tardiva presentazione dell’istanza di vendita deve, invece, farsi valere con l’eccezione di estinzione nella prima difesa utile (Soldi, 2310).
Va dichiarata inammissibile, senza necessità di un esame sul merito, l’opposizione agli atti esecutivi con cui il debitore denunzi un vizio formale verificatosi prima della vendita proposta dopo che la vendita è già stata compiuta, atteso che la disposizione di cui all’art. 2929 c.c. dispone che la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita non ha effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso di loro collusione con il creditore procedente (12732/07; conf. 7991/10; 9018/09).
Viceversa, la mancata comunicazione al debitore del decreto con cui, a norma dell’art. 569 c.p.c., il giudice dell’esecuzione dispone l’audizione delle parti e dei creditori iscritti non intervenuti, costituisce vizio incidente anche sui successivi provvedimenti di aggiudicazione e di trasferimento del bene pignorato, deducibile con l’opposizione agli atti esecutivi nel termine di cui all’art. 617 c.p.c., il quale decorre dalla conoscenza legale dell’atto, ed è opponibile all’acquirente del bene, ogniqualvolta difetti la terzietà di questi rispetto alle parti del procedimento, come quando la vendita stessa sia stata disposta in favore di uno dei creditori procedenti, non trovando in tal caso applicazione la regola generale di cui all’art. 2929 cod. civ. (21682/09)
Con riferimento alla disciplina previgente alla riforma del procedimento per espropriazione immobiliare introdotta dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 maggio 2005, n. 80, si era ritenuto che, pur in assenza di un vero e proprio obbligo giuridico di notificazione dell’ordinanza di vendita, fossero nulle la vendita immobiliare e la successiva aggiudicazione in caso di omessa notifica al debitore dell’ordinanza di fissazione della vendita posto che detta omissione impedisce all’esecutato di richiedere la conversione del pignoramento e viola il diritto al contraddittorio, desumibile anche dall’art. 111 Cost., che va salvaguardato nel processo esecutivo ogni qualvolta detto diritto sia funzionale all’esercizio di facoltà sostanziali o processuali da parte dell’esecutato (5341/09; orientamento che appare, tuttavia, superato, alla luce della sopravvenuta modifica dell’art. 495 c.p.c., cfr., in tal senso, D’Alonzo; Giugliano).
L’ordinanza di vendita è autonomamente opponibile per vizi suoi propri o di atti preparatori pregressi (18761/13) ma senza che rilevi la circostanza che il prezzo base sia stato fissato con riferimento ad una stima effettuata da un esperto verosimilmente inferiore al valore effettivo di mercato, trattandosi di un dato indicativo, che non pregiudica l’esito della vendita e la realizzazione del giusto prezzo attraverso la gara tra più offerenti (2474/15; 8304/08; cfr. anche 10334/05).
L’aggiudicazione è illegittima, e, dunque, impugnabile con opposizione agli atti esecutivi, non solo nell’ipotesi di violazioni di legge (con riferimento alla violazione dell’art. 576 c.p.c., si v. ↑ la già citata 14774/14), ma anche laddove non siano state rispettate le condizioni di vendita fissate dal giudice dell’esecuzione, anche in relazione ad eventuali modalità di pubblicità ulteriori rispetto a quelle minime di cui all’art. 490 cod. proc. civ., a garanzia dell’uguaglianza e parità di condizioni tra tutti i potenziali partecipanti alla gara, nonché dell’affidamento da ciascuno di loro riposto nella trasparenza e complessiva legalità della procedura; il relativo vizio può essere fatto valere da tutti gli interessati e, cioè, da tutti i soggetti del processo esecutivo, compreso il debitore (9255/15; per ipotesi di impugnazione diretta degli atti anteriori all’ordinanza di aggiudicazione, cfr., invece, 12880/12; 262/10; con riferimento al provvedimento di decadenza dall’aggiudicazione, cfr. 11171/15).
Attesa l’autonoma impugnabilità dell’ordinanza di aggiudicazione, dovrebbe ritenersi esclusa la possibilità di far valere i relativi vizi impugnando, per nullità derivata, il decreto di trasferimento (# 18344/19).
Quest’ultimo potrà però essere impugnato con opposizione agli atti esecutivi ove «affetto da un’invalidità successiva all’aggiudicazione e che lo riguardi direttamente» (Soldi, 2312 s.), in quanto anch’esso atto del procedimento esecutivo (11318/11; 24142/10; 371/07): rimane così esclusa la ricorribilità per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., nonché la possibilità di esperire, successivamente, l’opposizione all’esecuzione per rilascio o un’autonoma actio nullitatis, salve ipotesi delimitate (cfr. 12920/20; 11285/20; 21954/17; 12523/16; 5796/14 → REF 15, 276 – Tombolini; 10609/09; 18179/07; 1512/07; 7922/04 → GI 05, 402 – nota di richiami). Per una casistica dei vizi del decreto di trasferimento deducibili con opposizione agli atti esecutivi, cfr. Farina 4, § 3.
Con riferimento alla fase distributiva, si pongono problemi di coordinamento tra l’opposizione agli atti esecutivi e la disciplina delle controversie distributive di cui all’art. 512 c.p.c.
L’ammissibilità dell’intervento per profili formali, quali la carenza della legittimazione ad intervenire (per non essere il credito sussumibile nelle categorie di cui all’art. 499, comma 1, c.p.c.) o la mancata produzione dell’estratto autentico delle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. previsto dal medesimo art. 499 c.p.c., può essere, infatti, messa in discussione tanto in sede di opposizione agli atti esecutivi (19858/11; Soldi, 2313 s.; Crivelli 1), quanto, almeno secondo una tesi (Soldi, 816, 231; Crivelli 1, § 4), con lo strumento di cui all’art. 512 c.p.c.
In base a tale impostazione, le questioni concernenti l’ammissibilità dell’intervento devono essere fatte valere, a pena di decadenza, con l’opposizione agli atti esecutivi se la conoscenza dell’atto di intervento precede la fase distributiva, mentre il debitore e i creditori interessati che non abbiano avuto conoscenza dell’intervento prima di tale fase potranno far valere le medesime contestazioni ex art. 512 c.p.c. (in questi termini, precisamente, Soldi, 816, 231; Crivelli 1, § 4 ritiene, invece, che l’onere di opposizione ex art. 617 c.p.c. gravi solo sul debitore, richiamando a sostegno 7107/15, secondo la quale la verifica dell’ammissibilità dell’intervento viene a rilevare, per i soggetti del processo non gravati da altri oneri in forza di specifiche disposizioni loro dirette, esclusivamente al momento della distribuzione; con riferimento alla disciplina previgente, 6885/08 → GI 08, 2260 – Ronco).
Analoghe conclusioni dovrebbero valere, mutatis mutandis, con riferimento alle contestazioni circa la tardività dell’intervento (cfr. Crivelli 1, § 4 – le cui considerazioni vanno integrate a seguito dell’affermazione della legittimità dell’intervento non titolato tardivo da parte di 774/16 → REF 18, 602 – Capponi; cfr. anche 7556/11 → GI 12, 653 – nota di richiami).
Il provvedimento di approvazione del progetto finale di distribuzione è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi, essendo irrilevante che il giudice abbia contestualmente dichiarato l’estinzione del processo, in quanto tale dichiarazione è solo una presa d’atto della chiusura fisiologica del processo di espropriazione, e non è idonea a precludere l’impugnazione dell’approvazione del progetto finale di distribuzione, che è l’ultimo atto di quel processo (9175/18).
È consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per il quale il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione dichiara l’estinzione del processo esecutivo per cause diverse da quelle tipiche (comportanti piuttosto la declaratoria di improseguibilità), come la sopravvenuta inefficacia del pignoramento per mancata rinnovazione della trascrizione nel termine ventennale di cui agli artt. 2668 bis e 2668 ter cod. civ., non soggiace al rimedio del reclamo al collegio di cui all’art. 630 c.p.c., bensì all’opposizione agli atti esecutivi che è lo strumento generale previsto dall’ordinamento per denunciare i vizi del processo esecutivo (24775/14).
Con riferimento alla doglianza concernente l’illegittimità del provvedimento di estinzione della procedura esecutiva, infatti, i rimedi astrattamente invocabili sono il reclamo, ai sensi dell’art. 630 c.p.c., ovvero l’opposizione agli atti esecutivi, a seconda che si ritenga il provvedimento del giudice dell’esecuzione adottato sul presupposto di una delle ipotesi tipiche di estinzione del processo esecutivo, ovvero al fine di pervenire alla cosiddetta estinzione atipica del processo esecutivo (19858/11; conf. 7754/18; 25421/13; 10869/12; 2674/11; 3276/08 → GI 08, 1984 – nota di richiami; cfr., sul punto, Olivieri, nonché 10946/18; 15605/17 → GI 17, 2385 – Felloni; RDP 18, 1651 – Vincre; per un’ipotesi peculiare, cfr. 5538/12).
Il provvedimento di estinzione atipica è impugnabile mediante opposizione agli atti esecutivi anche con riferimento alla sola statuizione sulle spese (14604/20; 9837/15).
Nel processo esecutivo, è ritenuto vizio di irregolarità formale anche il difetto di giurisdizione, non suscettibile di regolamento di giurisdizione, né di opposizione all’esecuzione, ma deducibile per la sola via dell’opposizione agli atti esecutivi (65/16; 15855/09; 1124/00 → GI 01 – nota di richiami). Con riferimento al regolamento preventivo di giurisdizione nel processo esecutivo, cfr., da ultimo, Moretti.
Avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione affermi o neghi la propria competenza è inammissibile il regolamento di competenza, dato che, in virtù della specialità della disciplina del processo esecutivo, i vizi dei provvedimenti adottati dal giudice dell’esecuzione nell’esercizio dei suoi poteri di gestione possono essere fatti valere, oltre che attraverso l’istanza di revoca, solo attraverso il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (21185/17; conf. 8172/18; 4989/01 → GI 02, 911 – Fratini # 3881/21 → GI 21, 1853 – Amendolagine).
Il controllo della competenza sull’esecuzione, infatti, si estrinseca in prima battuta non già direttamente sul provvedimento del giudice dell’esecuzione negativo della propria competenza o affermativo della stessa bensì, essendo impugnabile tale provvedimento esclusivamente dalle parti con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c., attraverso l’impugnazione, con il regolamento di competenza necessario, della pronuncia del giudice di accoglimento o di rigetto della opposizione agli atti esecutivi, dovendosi la sentenza, tanto di accoglimento che di rigetto, intendersi impugnabile ai sensi dell’art. 187 disp. att. c.p.c.; con la conseguenza che va dichiarato inammissibile, altresì, il regolamento di competenza richiesto d’ufficio per risolvere un conflitto tra giudici dell’esecuzione ed attinente all’individuazione del giudice competente per l’esecuzione forzata, posto che non viene in discussione la potestas iudicandi ma solo l’osservanza delle norme che attengono al regolare svolgimento del processo esecutivo (e, dunque, al quomodo dell’esecuzione forzata) (4506/22; 38368/21; 17845/14).
La contestazione della possibilità per il creditore di iniziare o proseguire l’esecuzione forzata individuale in costanza del fallimento del debitore, ai sensi dell’art. 51 l. fall., attiene al diritto di procedere all’esecuzione forzata (individuale) e non semplicemente alla regolarità di uno o più atti della procedura ovvero alle modalità di esercizio dell’azione esecutiva, sicché va qualificata come opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. e non è assoggettata al regime, anche di decadenza, di cui all’art. 617 c.p.c. (14449/16; conf. 12115/03).
In linea generale, deve infine evidenziarsi che, di regola, solo gli atti del giudice dell’esecuzione sono impugnabili con lo strumento della opposizione agli atti esecutivi; gli atti riferibili agli ausiliari del giudice vanno, invero, sottoposti esclusivamente al controllo del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 60 – o nelle forme eventualmente diverse, come nel caso dell’art. 591-ter, desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato – e solo dopo che il giudice stesso si sia pronunciato sull’istanza dell’interessato sarà possibile impugnare il suo provvedimento con le modalità di volta in volta previste (cfr. 5175/18; 25317/16; 19573/15; 7674/08).
La esemplificazione (ovviamente non esaustiva) appena compiuta offre lo spunto per richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i provvedimenti successivi, che strutturano le fasi dell’esecuzione forzata, possono essere immediatamente e direttamente impugnati ove sia configurabile un interesse alla rimozione dei relativi effetti (cfr. 16799/08; ma v. già 14821/00). Per la conformazione di tale interesse, cfr. ↑ § 5.
Al contempo, tuttavia, alcune sentenze continuano a delimitare il novero degli atti impugnabili, consentendo l’opposizione avverso i soli atti conclusivi delle varie fasi in cui si articola il procedimento esecutivo (cfr. 12637/18; 12275/08; sulla questione, Soldi, 2295 ss.).
8. Termine per l’opposizione agli atti esecutivi. L’opposizione agli atti esecutivi deve essere proposta nel termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza dell’atto che si assume viziato, irregolare, illegittimo o inopportuno (Mandrioli-Carratta, 229).
L’opposizione tardiva deve essere dichiarata inammissibile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (Soldi, 2250), anche di legittimità (9962/17; 3404/04), e salvo il limite del giudicato interno (8501/21 ↑; 16780/15), con conseguente sanatoria (o “stabilizzazione”) del relativo vizio per effetto dell’inutile decorrenza del termine predetto.
L’irregolarità formale del titolo esecutivo può essere contestata con opposizione agli atti esecutivi nel termine di venti giorni dalla notificazione del titolo stesso (cfr. art. 617, comma 1, c.p.c.; in giurisprudenza, 6732/11; in dottrina, Mandrioli-Carratta 227; De Simone, § 2): conseguentemente, l’interessato è onerato di proporre l’opposizione nel suddetto termine, a pena di decadenza. Secondo un’altra tesi, il dies a quo decorre, viceversa, dalla notificazione del precetto (così, in motivazione, 16281/16 → REF 17, 344 – Micali, e, in dottrina, Soldi, 2265); per ampi riferimenti sul punto, Micali 2.
Il termine per proporre opposizione ex art. 617, comma 1, c.p.c. per i vizi dell’atto di precetto decorre dalla notifica del precetto e non da alcuno degli atti successivi (6732/11).
L’opposizione avverso le irregolarità formali del titolo esecutivo e dell’atto di precetto che sia stato impossibile proporre prima dell’inizio dell’esecuzione e quella relativa alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto deve essere proposta nel termine di venti giorni dal compimento del primo atto esecutivo, stando al disposto dell’art. 617, comma 2, c.p.c..
La giurisprudenza ha, al riguardo, precisato che il termine per proporre l’opposizione a precetto di cui all’art. 617 c.p.c. fondata sull’assunto della mancata notificazione del titolo esecutivo, decorre dalla data della notifica del precetto stesso, e non dal compimento del primo atto esecutivo, in quanto la data della notifica del precetto rappresenta il momento in cui sorge l’interesse del creditore di reagire alla minacciata esecuzione (8239/03). Sulla sanatoria dei vizi di notificazione, cfr. ↓ § 11.
L’opposizione avverso i singoli atti di esecuzione va proposta nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell’atto medesimo (cfr. art. 617, comma 2, c.p.c.).
Secondo un orientamento ormai consolidato, l’interessato può dirsi onerato di contestare la legittimità di un atto, solo ove sia stato messo in condizione di averne conoscenza (in termini, Soldi, 2251). Questa interpretazione è confermata dall’art. 157, comma 2, c.p.c., a tenore del quale la nullità di un atto va fatta valere «nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso».
In tema di opposizione agli atti esecutivi vale, dunque, il principio secondo cui il momento del compimento dell’atto, dal quale decorre il termine perentorio di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c. per la proposizione dell’opposizione, coincide con il momento in cui l’esistenza di esso è resa palese alle parti del processo esecutivo e, quindi, con il momento in cui l’interessato ha avuto legale conoscenza dell’atto, ovvero di un atto successivo che necessariamente lo presupponga (9018/09; 6186/09; 252/08; 17880/07; 15222/05; 2665/03).
Con riferimento agli atti compiuti in udienza, la conoscenza dell’atto si intende legalmente acquisita, ai sensi dell’art. 176 c.p.c., per le parti presenti e per quelle che dovevano comparirvi (23683/08; 5510/03).
Ne segue che il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi avverso i provvedimenti emessi dal giudice nell’udienza fissata ex art. 569 c.p.c., qualora il debitore sia stato posto in condizione di comparire, decorre dalla data di essi e non da quella di effettiva conoscenza, atteso che il debitore che ha ricevuto l’avviso di comparizione, pur non avendo l’obbligo di comparire, ha tuttavia l’onere di essere presente onde svolgere tutte le attività idonee alla tutela delle proprie ragioni, dovendo altrimenti imputare a sé stesso, secondo il principio generale di cui all’art. 176 c.p.c., ogni pregiudizievole conseguenza derivante dalla mancata conoscenza dei provvedimenti adottati in udienza (3950/06 ↑). Occorre tener presente che, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della opposizione agli atti esecutivi, sono da considerare provvedimenti emessi in udienza anche i provvedimenti del giudice dell’esecuzione nei casi in cui, nel verbale di udienza, compare la modalità «il giudice dispone con separata ordinanza», in quanto essa – di per sé – non indica l’avvenuta chiusura della udienza, e conseguentemente la necessità di far acquisire alla parte conoscenza legale degli esiti di essa mediante un biglietto di cancelleria, ma sta a significare che l’ordinanza verrà pronunciata una volta esaurita la trattazione delle cause ma prima della fine dell’udienza, determinando a carico della parte interessata a conoscere il contenuto dell’ordinanza solo un onere di attesa fino al termine della udienza (5510/03).
Con riferimento alla posizione del terzo pignorato, il termine per proporre opposizione, ex art. 617 c.p.c. avverso l’ordinanza di assegnazione di cui all’art. 553 c.p.c, decorre dal momento in cui questi ne abbia legale conoscenza tramite comunicazione da parte del creditore o con altro strumento idoneo, e non dalla data di emissione del provvedimento stesso, non potendo trovare applicazione, in questo caso, la previsione dell’art. 176, comma 2, c.p.c., in quanto la presenza del terzo all’udienza, benché non certo impedita dalla legge non è richiesta, di talché nessun addebito di negligenza potrebbe essere mosso al terzo che, avendo inviato la lettera raccomandata o la comunicazione p.e.c. al creditore, abbia poi deciso di non presenziare all’udienza davanti al giudice dell’esecuzione (11642/14 → REF 14, 759 – Giordano; REF 15, 471 – Marmiroli; conf. 21081/15).
Nel caso di notificazione dell’ordinanza di assegnazione effettuata separatamente dalla notificazione dell’atto di precetto, il termine, con riferimento al terzo pignorato, decorre già dalla data di notificazione dell’ordinanza che costituisce il titolo esecutivo per agire in executivis nei suoi confronti, e non dalla data di notificazione dell’atto di precetto (25110/15, in conformità all’orientamento, fatto proprio da 6732/11; Mandrioli-Carratta 227; De Simone, § 2, ed esposto ↑).
I provvedimenti emessi fuori udienza sono legalmente conosciuti dal giorno della relativa comunicazione da parte della cancelleria, ex art. 134, comma 2, c.p.c. (6186/09), o dal giorno della loro notificazione (e non dalla data del deposito in cancelleria, 27533/14).
Se la comunicazione, legalmente prevista, venga omessa o se non sia prevista alcuna comunicazione, il termine decorre dal giorno in cui l’interessato acquisti legale conoscenza di un atto successivo che necessariamente presupponga l’atto lesivo.
Conseguentemente, il soggetto destinatario di un atto che valga a dare conoscenza dell’esistenza di un procedimento esecutivo a proprio carico, è tenuto a prendere visione degli atti che sono stati compiuti in suo danno e verificarne la legittimità ai fini dell’esperimento del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (10841/01 → GI 02, 917 – note di richiami; GC 02, 415 – Gatti: nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito secondo cui l’opposizione agli atti esecutivi contro il precetto e il pignoramento invalidamente notificati doveva essere proposta nei cinque giorni dalla comunicazione dell’istanza di sostituzione del custode dei beni pignorati). È stato precisato, altresì, che ove il difensore della parte abbia estratto copia ad «uso opposizione» dell’ordinanza riservata del giudice dell’esecuzione, come risultante dalle attestazioni della cancelleria a margine del provvedimento, la conoscenza del provvedimento è acquisita in via formale, all’esito di un’attività istituzionale di cancelleria che impone l’individuazione del soggetto richiedente e di quello che ritira la copia autentica del provvedimento nonché l’annotazione della data di rilascio della copia stessa, e costituisce, al pari della «presa visione», forma equipollente della comunicazione di cancelleria, anche ai fini della decorrenza del termine per l’opposizione agli atti esecutivi (24418/08).
La giurisprudenza ha successivamente ritenuto che non solo la conoscenza legale, ma anche la conoscenza di fatto dell’atto di esecuzione sia valida ai fini della decorrenza del termine in discorso (10099/09: nella specie, relativa all’impugnazione di un decreto di trasferimento di beni immobili emesso dal giudice dell’esecuzione a seguito di ordinanza di aggiudicazione, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva fatto decorrere il termine per proporre opposizione dal momento in cui il delegato del debitore aveva preso visione degli atti del procedimento esecutivo; conf. 9903/21; 89/21; 5174/18; 25861/17; 18723/17; 27533/14; 7708/14 ↑, con specifico riferimento al cd. aliud pro alio; 16529/12; 7051/12; 11597/10; # 9018/09); con la conseguenza, che addirittura la nullità della comunicazione del provvedimento del giudice dell’esecuzione – avvenuta senza la trasmissione del testo integrale della decisione comprensivo del dispositivo e della motivazione (in violazione dell’art. 45, comma 4, disp. att. c.p.c.) – sarebbe suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, ai precipui fini del decorso del termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi.
Tale sanatoria, in particolare, dovrebbe operare (secondo l’orientamento in discorso) qualora l’oggetto della comunicazione sia sufficiente a fondare in capo al destinatario una conoscenza di fatto della circostanza che è venuto a giuridica esistenza un provvedimento del giudice dell’esecuzione potenzialmente pregiudizievole.
In tal caso sarebbe onere del destinatario, nonostante l’incompletezza della comunicazione, attivarsi per prendere utile e piena conoscenza dell’atto per valutare se e per quali ragioni proporre tempestivamente l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. (ferma la possibilità, per l’opponente, di dimostrare l’inidoneità in concreto della ricevuta comunicazione ai fini dell’estrinsecazione, nei predetti termini, del suo diritto di difesa): così, 18421/22; 15193/18; 7898/18; 5172/18.
La giurisprudenza ritiene che l’onere di indicare e provare il momento in cui si abbia conseguito la conoscenza, legale o di fatto, dell’atto esecutivo che si assume viziato, gravi su colui il quale propone opposizione agli atti esecutivi, non potendosi altrimenti verificare il rispetto da parte sua del termine di decadenza per la proposizione dell’opposizione (18723/17; 25110/15; 7051/12; 6487/10 # 10724/00). Tale principio deve, tuttavia, essere coordinato con il principio di acquisizione probatoria (13281/13), sicché l’onere è assolto anche qualora la prova della tempestività dell’opposizione emerga dagli atti del fascicolo dell’esecuzione o da quelli prodotti dall’opposto (29357/19; 25110/15; 19277/12; 2230/12; 15062/11).
La verifica dell’osservanza del termine perentorio per proporre opposizione agli atti esecutivi deve, comunque, essere compiuta di ufficio dal giudice, sulla base dei documenti acquisiti al processo, in via pregiudiziale rispetto al merito dell’opposizione (9962/17; 27533/14 # Soldi, 2256, che ritiene che, in assenza di contestazioni e di elementi contrari risultanti ex actiis, la causa dovrà decidersi nel merito, «dovendosi presumere che essa sia stata tempestivamente introdotta»).
Resta fermo, come detto, che l’eccezione di tardività dell’opposizione proposta ex art. 617 c.p.c. per omessa allegazione, da parte dell’opponente, del momento in cui ha avuto effettiva conoscenza della procedura esecutiva, ove non decisa dal giudice del merito e dunque non coperta da giudicato interno, può e deve essere delibata in sede di legittimità, ancorché non dedotta come motivo di ricorso, trattandosi di eccezione relativa ad un termine di decadenza processuale la cui inosservanza è rilevabile d’ufficio e che comporta la cassazione senza rinvio della sentenza ex art. 382, comma 3, c.p.c., in quanto l’azione non poteva proporsi (8501/21 ↑; 16780/15).
È stato ritenuto che non sia necessario, ai fini della pronuncia di inammissibilità, per tardività, dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., che sia previamente instaurato il contraddittorio tra le parti, in quanto il divieto della decisione sulla base di argomenti non sottoposti al previo contraddittorio delle parti non si applica alle questioni di rito relative a requisiti di ammissibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, senza che tale esito processuale integri una violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale – nell’interpretazione data dalla Corte Europea – ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato quando si tratti di questioni di rito che la parte, dotata di una minima diligenza processuale, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi (15019/16).
Dalla perentorietà del termine ex art 617 c.p.c. viene talora dedotta l’inammissibilità dei motivi di opposizione agli atti esecutivi successivi al termine di decadenza fissato per la proposizione della domanda e l’illegittimità dell’ampliamento del thema decidendum cristallizzato con l’atto introduttivo originario (11566/13; 17319/11; 16541/11; cfr. § 7).
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione di rigetto dell’istanza di modifica o di revoca di un proprio precedente provvedimento rientra nel novero degli atti esecutivi impugnabili (e cioè opponibili o reclamabili) solo quando, pur rimanendo inalterata la posizione delle parti rispetto a tale precedente provvedimento, possa loro derivare pregiudizio dagli argomenti addotti dal giudice a sostegno del diniego, altrimenti consentendosi, mediante l’opposizione agli atti o il reclamo contro il provvedimento negativo, di riaprire a favore della parte decadutane la possibilità di far valere i vizi da cui era affetto il provvedimento precedente (3723/12; 5238/04).
Analogamente, poiché ciò potrebbe determinare un’elusione del rispetto del termine di decadenza per la proposizione dell’opposizione in esame, non può essere oggetto della stessa l’atto con il quale il Giudice dell’esecuzione si sia limitato a correggere un errore materiale o di calcolo di una propria ordinanza. Nondimeno, l’opposizione agli atti potrà essere proposta qualora l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto dell’ordinanza, ovvero quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la portata decisoria del provvedimento, dando luogo surrettiziamente ad una revoca o ad una modifica di ordinanza già eseguita e non più opponibile (1891/15).
9. Concorso con il potere di revoca. A norma dell’art. 487 c.p.c. salvo che la legge disponga altrimenti, i provvedimenti del giudice dell’esecuzione sono dati con ordinanza, che può essere dal giudice stesso modificata o revocata finché non abbia avuto esecuzione. Le ordinanze del giudice dell’esecuzione sono soggette alle disposizioni degli artt. 176 ss. c.p.c. in quanto applicabili, ed a quella di cui all’art. 186 c.p.c..
Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie (e, oggi, sostanzialmente unanimi), la possibilità di far valere l’illegittimità delle ordinanze del giudice dell’esecuzione con il rimedio di cui all’art. 617 c.p.c. non esclude il potere del medesimo giudice di revocare o modificare i propri provvedimenti, non configurando l’opposizione agli atti esecutivi «uno speciale mezzo di reclamo» ai sensi dell’art. 177, comma 3, n. 3), c.p.c..
I due rimedi (opposizione agli atti esecutivi e potere di revoca/modifica da parte del g.e.) sono, dunque, concorrenti e il giudice potrà modificare o revocare i propri provvedimenti «anche quando questi siano ancora impugnabili ai sensi dell’art. 617 c.p.c.» (Soldi, 2321), a meno che non siano stati pronunciati sull’accordo delle parti o siano dichiarati espressamente non impugnabili dalla legge [art. 177, comma 3, nn. 1) e 2); così 2487/03; # Soldi, 378].
I due rimedi sono, però, distinti in quanto «il potere di revoca e modifica di cui all’art. 487 c.p.c. è esclusivo del giudice dell’esecuzione» (pur potendo essere sollecitato con istanza ex art. 486 c.p.c.), mentre l’opposizione agli atti esecutivi è un «rimedio esclusivo delle parti» (Farina 6, § 4).
In mancanza di limiti normativi, dunque, il potere del Giudice dell’esecuzione di revoca dei propri provvedimenti concorre con la possibilità dell’opposizione agli atti esecutivi, ad istanza della parte interessata, con la precisazione che, mentre il potere di revoca giudiziale può essere esercitato anche dopo la scadenza del termine previsto dalla legge per la proposizione dell’opposizione di cui all’art. 617, e sempre che il provvedimento non abbia avuto definitiva esecuzione (24001/11; 24000/11), per potersi avvalere del rimedio dell’opposizione la parte deve rispettare il termine perentorio di decadenza previsto dal citato art. 617 (12053/14; 11316/09; 17460/07).
La conseguenza di tale concorso è che, qualora, proposta opposizione, il giudice revochi l’ordinanza opposta, l’opponente perde interesse all’instaurazione del giudizio di merito sull’opposizione, finalizzato alla rimozione del provvedimento stesso (in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva negato l’interesse del debitore esecutato a proseguire nell’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione di somme pignorate, avendo il giudice dell’esecuzione, nel caso di specie, adottato un provvedimento non meramente provvisorio, ma di definitiva revoca dell’ordinanza impugnata) (26185/11).
Onde evitare che l’istante possa “recuperare” la facoltà di opporsi dopo l’inutile decorso del termine ex art. 617 c.p.c. è stata ritenuta inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza, ex art. 487 c.p.c., di modifica o di revoca del provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., abbia determinato le modalità dell’esecuzione, dopo la scadenza dei termini per proporre opposizione avverso quest’ultimo provvedimento (11703/09).
Come anticipato (§ 8), infatti, il provvedimento del giudice dell’esecuzione di rigetto dell’istanza di modifica o di revoca di un proprio precedente provvedimento rientra nel novero degli atti esecutivi impugnabili (e cioè opponibili o reclamabili) solo quando, pur rimanendo inalterata la posizione delle parti rispetto a tale precedente provvedimento, possa loro derivare pregiudizio dagli argomenti addotti dal giudice a sostegno del diniego, altrimenti consentendosi, mediante l’opposizione agli atti o il reclamo contro il provvedimento negativo, di riaprire a favore della parte decadutane la possibilità di far valere i vizi da cui era affetto il provvedimento precedente (3723/12; 5238/04).
Deve, infine, evidenziarsi che, sebbene la revoca del provvedimento del G.E. possa essere disposta durante e anche oltre il termine previsto per proporre l’opposizione agli atti esecutivi, con il solo limite dell’avvenuta esecuzione del provvedimento, è da escludersi l’esercizio del potere di revoca allorquando l’opposizione agli atti esecutivi, una volta esperita, sia stata definitivamente rigettata, in funzione di esigenze di stabilità dei risultati dell’esecuzione forzata e tenuto conto della natura perentoria del termine per proporre l’opposizione (T. MI 14.2.15 → REF 16, 107 – Tombolini).
Per ulteriori approfondimenti, Vittoria; Tombolini 2.
10. Concorso con l’opposizione all’esecuzione. Il processo esecutivo deve iniziare in base ad un titolo esecutivo (art. 474 c.p.c.) e deve arrestarsi se è accertato che il titolo inizialmente mancava o ne sia sopravvenuta l’inesistenza.
Rientra, invero, di certo nei poteri ufficiosi del giudice dell’esecuzione il riscontro delle imprescindibili condizioni dell’azione esecutiva (nonché dei presupposti del processo esecutivo), la cui mancanza – anche sopravvenuta – comporta che quest’ultimo non può con ogni evidenza proseguire o raggiungere alcuno dei suoi fini istituzionali e va chiuso anticipatamente, al di là e a prescindere di ogni espressa previsione normativa di estinzione (2043/17 → GI 17, 1817 – Rizzuti; CG 17, 781 – Lupoi; conf. 11769/02; Soldi, 2097 ss.; Vincre 2, § 3; si v., inoltre, con riferimento alla pignorabilità dei beni, l’art. 545, ult. comma, c.p.c.; per il fondamento di tali poteri, si rimanda a Farina 3, 276 ss.).
Nei casi in cui il giudice dell’esecuzione, esercitando il suddetto potere officioso – sollecitabile dall’interessato con istanza ex art. 486 c.p.c. – , dichiari l’improcedibilità (o l’estinzione cd. atipica, o comunque adotti altro provvedimento di definizione sussumibile nella chiusura anticipata secondo la previsione dell’art. 187 bis disp. att. c.p.c.) della procedura esecutiva in base al rilievo della mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia, il provvedimento adottato in via né sommaria né provvisoria, a definitiva chiusura della procedura esecutiva, è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. (15605/17 ↑; conf. 10946/18; 4334/09).
È allora evidente che vi sono ampi spazi di sovrapposizione tra l’opposizione formale e l’opposizione ex art. 615 c.p.c., ogniqualvolta le questioni concernenti le condizioni dell’azione esecutiva siano state risolte dal giudice dell’esecuzione, e, dunque, si siano tradotte in un provvedimento del g.e. di cui può farsi valere l’irregolarità o illegittimità (Soldi, 2103; in senso analogo, Vincre 2, § 4; Farina 6, § 2).
In particolare, l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del g.e. dichiarativa dell’assenza delle condizioni dell’azione esecutiva concorre con l’opposizione all’esecuzione in capo al debitore esecutato (Farina 3, 274 ss.; Soldi, 2104 s.), il quale, potendo sollevare tali questioni altresì ex art. 615 c.p.c., dispone di un doppio registro di tutele (Vincre 2, § 4; conf. Farina 6, § 2).
Il creditore potrà, invece, impugnare il provvedimento col quale il giudice dell’esecuzione dichiari la carenza delle condizioni dell’azione esecutiva con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., e non con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., in quanto quest’ultima è un rimedio concesso dalla legge a tutela del soggetto esecutato, e non può essere invocata da chi invece minacci o abbia iniziato l’esecuzione, per opporsi ad un provvedimento giurisdizionale di “blocco” della stessa (4334/09).
Il potere-dovere del giudice dell’esecuzione di rilevare d’ufficio la carenza delle condizioni dell’azione esecutiva in ogni stato del giudizio permane anche a seguito dell’introduzione di una barriera preclusiva per l’opposizione di merito, da parte dell’art. 4, comma 1, lett. l), 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni dalla l. 30 giugno 2016, n. 119 (Farina 3, 274 ss.).
11. Sanatoria. In via di principio, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, la disciplina dell’opposizione agli atti esecutivi deve essere coordinata con le regole generali in tema di sanatoria degli atti nulli (6957/07).
Conseguentemente, in primo luogo, con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. non possono farsi valere vizi – quale la nullità della notificazione del titolo esecutivo e del precetto – che devono considerarsi sanati per raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c., in virtù della proposizione dell’opposizione da parte del debitore, quella al precetto in particolare costituendo la prova evidente del conseguimento della finalità di invitare il medesimo ad adempiere, rendendolo edotto del proposito del creditore di procedere ad esecuzione forzata in suo danno. Né in contrario vale invocare il disposto dell’art. 617, comma 2, c.p.c., attinente alla diversa ipotesi in cui il vizio della notificazione per la sua gravità si traduce nell’inesistenza della medesima (23894/12), così come la circostanza che per effetto della nullità della notificazione possa al debitore attribuirsi un termine per adempiere inferiore a quello minimo di dieci giorni previsto dall’art. 480 cod. proc. civ. (5906/06, cfr., inoltre, § 7). Si è specificato, però, che tale sanatoria presuppone che l’esecutato abbia comunque avuto un termine utile per evitare il pignoramento (25900/16; 14209/14) e può ritenersi opportuno accertare, ai fini della sanatoria (e in piena conformità ai richiamati principi), che il debitore abbia avuto, altresì, una sufficiente conoscenza del titolo esecutivo in forza del quale l’esecuzione è stata minacciata od è iniziata (ad esempio, per aver l’opponente articolato, congiuntamente alle censure formali ex art. 617 c.p.c., anche censure nel merito, cfr. 19498/13).
Di recente, la Suprema Corte ha inoltre chiarito che, se il vizio di notificazione dell’atto di pignoramento è di regola sanato dalla mera proposizione dell’opposizione, a meno che l’opponente non deduca contestualmente un concreto pregiudizio al diritto di difesa verificatosi prima che egli abbia avuto conoscenza dell’espropriazione forzata, oppure che la notificazione sia radicalmente inesistente, in quanto del tutto mancante o priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, diversamente, il vizio di notificazione dell’atto di precetto non è sanato dalla mera proposizione dell’opposizione se, prima che l’intimato ne abbia avuto conoscenza, il creditore abbia eseguito comunque il pignoramento (18112/22; 11290/20).
Si ritiene che, qualora l’esecutato denunci con opposizione ex art. 617 c.p.c. la nullità della notificazione dell’atto di pignoramento, la proposizione di tale opposizione, in quanto indice della conoscenza dell’esecuzione, dimostra l’avvenuto raggiungimento dello scopo cui era preordinata la detta notificazione e comporta, quindi, la sanatoria della sua nullità, in applicazione dell’art. 156, ultimo comma, c.p.c. (33466/19; 24527/08). La nullità della notificazione dell’atto di pignoramento sarebbe infatti sanata per il raggiungimento dello scopo quando l’opposizione agli atti esecutivi sia proposta al solo scopo di lamentare tale nullità, non anche a quello di far valere la nullità dell’atto conclusivo del processo esecutivo, che sia stato invalidamente introdotto, e di chiedere, quindi, la revoca o l’annullamento dell’ordinanza medesima (9903/21; 9962/17; 17349/11).
In secondo luogo, è regola vigente nel codice di rito che le nullità formali, cioè derivanti dall’inosservanza delle forme prescritte per il compimento di un atto, si sanino se non sono dedotte dalla parte interessata nei tempi e nei modi previsti dalla legge (6706/01; cfr. Luiso, 279).
Così, la previsione dell’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. quale strumento generale per dedurre le nullità degli atti esecutivi si traduce, tendenzialmente, in un limite temporale alla propagazione della pretesa nullità (che, diversamente, si verificherebbe alla luce del principio generale dell’art. 159 c.p.c.), nel senso che – dovendo l’opposizione essere formulata in un termine sancito a pena di decadenza – l’omesso tempestivo rilievo del vizio ne determina la “sanatoria” e, conseguentemente, dà luogo ad una sorta di “stabilizzazione” dell’atto posto in essere (la cui legittimità non è suscettibile di essere rimessa in discussione successivamente) (T. NA 30.11.2020 → InExecutivis 21; v. anche 10841/01 ↑). Poiché il termine di cui all’art. 617 c.p.c., decorre dalla conoscenza dell’atto (cfr. § 8), quando a produrre tale conoscenza concorra la notificazione, la nullità di questa impedisce che si determini la sanatoria intrinseca dell’atto oggetto di opposizione (4665/07; il cui dictum va però coordinato con l’asserita idoneità della conoscenza di fatto a far decorrere il termine ex art. 617 c.p.c., su cui v. ancora il § 8).
Anche secondo la dottrina, la perentorietà del termine cui è soggetta l’invalidazione degli atti esecutivi determina l’applicabilità al rimedio in parola dell’art. 161 c.p.c., o – più correttamente – del principio generale in forza del quale la decadenza dall’impugnazione preclude la possibilità di far valere i vizi con la stessa deducibili, comportandone la sanatoria: l’irregolarità di un atto dell’esecuzione forzata non può, dunque, di regola esser fatta valere con un’autonoma azione di nullità, dopo la scadenza del termine per proporre l’opposizione agi atti esecutivi (l’opinione, tradizionale, risale tra gli altri al Mandrioli; cfr., quanto alle nullità cd. insanabili, § 12).
Per quanto riguarda, poi, le nullità non rilevabili d’ufficio, l’interessato non potrà impugnare gli atti da lui compiuti, in applicazione dell’art. 157, comma 3, c.p.c.; allo stesso modo, la nullità relativa non potrà esser fatta valere dalla parte che vi abbia rinunciato (Luiso, 280) e i creditori non potranno, almeno di regola, proporre opposizione avverso atti dalla cui caducazione possa derivare la caducazione dell’intero processo esecutivo, o la sua regressione (così, Soldi, 2265; Luiso, 280 s.).
Infine, devono trarsi le dovute conseguenze dalla considerazione che l’accoglimento dell’opposizione determina l’invalidazione dell’atto impugnato, con una tecnica analoga a quella della dichiarazione di nullità (cfr. sul punto, l’art. 618 c.p.c.).
Il g.e. potrà, infatti, disporre la rinnovazione dell’atto nullo, dopo l’accoglimento dell’opposizione, ove il vizio non sia tale da impedire la prosecuzione del processo di esecuzione forzata (Luiso, 284).
Secondo una tesi, infine, quando la nullità è sanabile, il giudice dell’esecuzione potrà disporre la rinnovazione anche con i provvedimenti opportuni di cui all’art. 618, comma 1, c.p.c. o all’udienza di cui all’art. 618, comma 2, c.p.c., senza attendere l’esito del giudizio di opposizione (se il vizio è insanabile, in presenza del fumus di fondatezza dell’opposizione, il giudice dovrebbe invece sospendere il processo esecutivo: Luiso, 281 s.).
12. Nullità insanabili. Facendo riferimento alla disciplina generale della nullità degli atti, è possibile distinguere le nullità formali (che riguardano singoli atti del processo) e le nullità extraformali, che derivano dalla carenza dei presupposti processuali (Luiso); secondo una diversa impostazione, la nullità è sempre formale, ma resta valida la distinzione tra situazioni invalidanti che si riferiscono al singolo atto della cui nullità si discute e vizi che, essendo relativi a tutti i singoli atti della serie procedimentale, sono tali da rendere ciascuno di essi autonomamente viziato di nullità, con la conseguenza che resta possibile il rilievo, anche d’ufficio, della nullità insanabile per tutto il corso del processo (Poli, 1367 s.).
In materia di opposizione agli atti esecutivi, la sanatoria (o “stabilizzazione”) conseguente alla decadenza dal termine impedisce, di regola, che la nullità del singolo atto esecutivo si ripercuota sugli atti successivi dipendenti, in deroga all’art. 159 c.p.c. (cfr. § 11).
La carenza di un presupposto processuale (quale la giurisdizione, la competenza, la legittimazione processuale) o la presenza di un vizio invalidante tutti gli atti della serie procedimentale investe, viceversa, tutti gli atti del processo, che saranno viziati in via autonoma e non per “contagio” da un atto precedente nullo (Luiso, 279).
In questa seconda ipotesi, dunque, ciascun atto potrà essere autonomamente impugnato con opposizione agli atti esecutivi, fintanto che il vizio sia rilevabile in base al relativo regime processuale (cfr., ad esempio, quanto alla competenza, l’art. 38 c.p.c.).
La medesima conclusione dovrebbe valere per i vizi del singolo atto processuale tali da impedire al processo esecutivo di assolvere il suo scopo obiettivo: anche in tale ipotesi, l’inutile decorso del termine di cui all’art. 617 c.p.c. non ne dovrebbe impedire il rilievo (Luiso, 279).
Nelle suddette ipotesi, il vizio può essere definito insanabile, nel senso che il suo rilievo non è precluso dal decorso del termine previsto per l’opposizione agli atti e l’opposizione può così essere proposta per tutto il corso del processo esecutivo (o, secondo una diversa tesi, che pare, però, peccare di “barocchismo”, impugnando, nel termine di cui all’art. 617 c.p.c, i singoli atti successivi).
In senso parzialmente analogo, in giurisprudenza, si è ritenuto che le situazioni invalidanti che si producano in una determinata fase, comprese quelle costituenti nullità insanabili (quali l’invalidità della procura ad litem), sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo – mediante opposizione agli atti esecutivi anche oltre il termine dei venti giorni previsti a pena di decadenza, o d’ufficio dal giudice dell’esecuzione -, ma solo in quanto impediscano che il processo consegua il suo fine naturale, e cioè l’espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori, mentre, quando non siano di per sé preclusive del raggiungimento dello scopo del processo, vanno eccepite con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. da proporre nel relativo termine di decadenza dei venti giorni decorrente dalla conoscenza legale da parte dell’interessato dell’irregolarità (837/07; conf. 20814/09). Ad esempio, la deduzione della nullità del pignoramento immobiliare per mancata o incompleta identificazione del bene staggito, concernendo la validità formale dell’atto e non già il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, configura motivo di opposizione agli atti esecutivi ed è pertanto soggetto alla relativa disciplina, fatta eccezione per la preclusione derivante dalla decorrenza del termine di cui all’art. 617 c.p.c., trattandosi di una nullità che non ammette sanatoria, in quanto impedisce al processo esecutivo di pervenire al suo scopo con l’espropriazione del bene (10945/18; 21379/17). Invece, la nullità dell’atto di pignoramento immobiliare privo della sottoscrizione del difensore, idonea a propagarsi sull’invalidità dell’ordinanza di vendita, in quanto atto collegato al pignoramento, resta sanata se non rilevata d’ufficio, ovvero non fatta valere col rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, prima della pronuncia dell’ordinanza di vendita, ovvero entro venti giorni dalla conoscenza legale che di tale ordinanza abbia avuto il debitore, in quanto vizio inidoneo ad impedire che il processo consegua il risultato che ne costituisce lo scopo, e cioè l’espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori (6264/12).
Un diverso orientamento, pur riconoscendo uno specifico regime processuale ai vizi c.d. insanabili del processo esecutivo, ha ritenuto che la relativa contestazione non abbia natura di opposizione esecutiva.
In tale prospettiva, è stato affermato che la richiesta rivolta dal debitore al giudice dell’esecuzione affinché ne sia dichiarata l’improcedibilità per non essere il difensore del creditore procedente munito di valida procura alle liti non ha natura di opposizione esecutiva, perché non è volta a far rilevare la nullità di un singolo atto del processo, né è necessaria per impedire che la nullità resti sanata; tale istanza, inoltre, non è soggetta ai termini di decadenza previsti per le opposizioni agli atti esecutivi, potendo la perdurante mancanza di un difensore munito di valida procura essere rilevata e dichiarata dal giudice dell’esecuzione in qualsiasi momento del procedimento anche senza l’impulso di parte (8959/16; 23390/14; 15903/11; cfr. anche 4652/08).
Infine, altre pronunce ammettono la stabilizzazione, per mancata impugnazione nel termine perentorio, altresì dei vizi cd. insanabili, sul presupposto che l’opposizione agli atti esecutivi si risolverebbe in una contestazione relativa a singoli atti che la legge considera indipendenti, alla quale, pertanto, è estranea la regola della propagazione delle nullità processuali indicata dall’art. 159, operando tale principio anche per le cd. nullità insanabili – quali quelle attinenti al difetto dello ius postulandi ovvero della rappresentanza o della capacità di agire – che debbono essere fatte valere nel termine di decadenza per l’opposizione, atteso che la finalità del processo esecutivo di giungere ad una sollecita chiusura della fase espropriativa non tollera che esso possa trovarsi in una situazione di perenne incertezza (14449/16).
Per approfondimenti, si rimanda alle non più recenti: 8293/93 → GI 94, 1041 – Besso; 11178/95 → CG 95, 1344 – Carbone; FI 96, 3468 – Scala; AC 96, 29 – Segreto; GI 96, 914 – nota di richiami; Gciv 96, 2041 – Triola; 7026/99 → GI 00, 906 – Daleffe, ed ai relativi commenti, nonché a Tombolini 1.
Per quanto concerne il coordinamento del regime delle nullità insanabili con gli art. 530 e 569 c.p.c. cfr. ↓.
13. Stabilità dei risultati dell’esecuzione forzata. Se il processo ordinario di cognizione mira all’accertamento con forza di giudicato dei diritti, quello esecutivo provvede alla loro attuazione coattiva, esigendo la stabilità degli atti che vi si pongono in essere. L’effettività della relativa tutela è garantita dal sistema chiuso di impugnazioni e dalle preclusioni che vi operano, in modo da apportare una tendenziale definitività degli atti dell’esecuzione (17371/11; 16369/09; 7036/03 → REF 05, 151 – Rosa; 5580/03). I vizi degli atti esecutivi sono, infatti, soggetti all’opposizione agli atti, da esercitarsi entro il termine perentorio previsto dall’art. 617 c.p.c., a pena di sanatoria/stabilizzazione del relativo vizio.
Inoltre, la struttura del processo esecutivo non è assimilabile al normale processo di cognizione, posto che esso non si presenta come una sequenza continua di atti preordinati ad un unico provvedimento finale, bensì come una successione di sub-procedimenti, e cioè una serie autonoma di atti ordinati a distinti provvedimenti successivi (cfr. 11178/95 ↑, e, successivamente, 20814/09).
L’autonomia di ciascuna fase del processo esecutivo, rispetto a quella che precede, comporta, secondo la giurisprudenza, che le situazioni invalidanti che si producano in una determinata fase, comprese quelle costituenti nullità insanabili, sono suscettibili di rilievo nel corso ulteriore del processo – mediante opposizione agli atti esecutivi anche oltre il termine dei venti giorni previsti a pena di decadenza, o d’ufficio dal giudice dell’esecuzione – solo in quanto impediscano che il processo consegua il suo fine naturale, e cioè l’espropriazione del bene pignorato come mezzo per la soddisfazione dei creditori, mentre, quando non siano di per sé preclusive del raggiungimento dello scopo del processo, vanno eccepite con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. da proporre nel relativo termine di decadenza dei venti giorni decorrente dalla conoscenza legale da parte dell’interessato dell’irregolarità (837/07).
Da tanto consegue, di regola, la preclusione di qualunque doglianza per vizi processuali o di forma una volta esaurita la fase in cui essi si sono verificati (v. 26202/11).
In particolare, l’autorizzazione della vendita preclude la deducibilità di vizi attinenti ai singoli atti che abbiano preceduto le udienze fissate ex artt. 530 e 569 c.p.c., nel senso che, relativamente a detti vizi, l’udienza è l’ultimo momento utile per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi ove non si sia verificata ancora decadenza (20814/09); analogamente, conclusa la fase della vendita con il decreto di trasferimento, le doglianze per vizi ad esso anteriori, non fatte valere utilmente con i rimedi allo scopo apprestati, quale, in particolare, l’opposizione agli atti esecutivi, sono irreversibilmente precluse nella successiva fase della distribuzione, che è volta solo a ricostruire l’entità della somma ricavata ed a procedere alla sua attribuzione o distribuzione, e giammai al riesame della ritualità degli atti precedenti (7707/14).
Nella chiusura della fase, si individua, dunque, una preclusione all’ulteriore rilievo delle nullità, anche non sanabili e non ancora sanate, con il limite costituito dalla sopravvivenza di situazioni vizianti, che impediscano al processo di proseguire verso l’esito rappresentato dalla liquidazione del bene espropriato, che ne costituisce lo scopo (sulle nullità cd. insanabili, cfr., più ampiamente, § 12).
Con specifico riferimento alla posizione dell’acquirente o assegnatario (che sia terzo rispetto alle parti del processo esecutivo, cfr. 21682/09), sono poi inopponibili eventuali nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione, salva l’ipotesi di collusione con il creditore procedente (cfr. art. 2929 c.c.).
La regola contenuta nell’art. 2929 c.c. tutela senza riserve l’acquirente (non colluso) tutte le volte che le questioni relative all’accertamento delle ragioni dell’esecutato siano dedotte nel processo in una fase successiva all’aggiudicazione (o all’assegnazione), con la precisazione che, per le fasi precedenti, la regula iuris in esame si riferisce ai vizi formali del procedimento esecutivo che ha condotto alla vendita o all’assegnazione (si riferisce, cioè, all’ipotesi in cui singoli atti del procedimento esecutivo, anteriori alla vendita o all’assegnazione, debbano essere dichiarati nulli), mentre non trova spazio tutte le volte in cui la nullità riguardi proprio tali due atti, ovvero quando i vizi denunciati si configurino come motivi di opposizione alla stessa esecuzione (cfr. 20814/09; 10109/09; 9018/09; 12732/07; 5111/06; 21439/04; 193/03 # la dottrina maggioritaria: v. Vincre 1, § 4; Ferri, § 4, ove relativi richiami).
Sull’ambito applicativo dell’art. 2929 c.c., cfr. anche 3603/15; 27526/14; 26930/14; 13824/10; 5111/06; 8006/05; 3970/04 → FA 05, 289 – Mascione; 328/01; 1258/01 → FA 01, 1228 – Bonfanti, secondo le quali l’art. 2929 c.c. non è applicabile nemmeno quando la nullità derivi da atti afferenti al sub-procedimento di vendita, vizianti, per derivazione, la vendita o l’assegnazione (nello stesso senso, in dottrina, Luiso; # 9018/09, che, facendo salva l’aggiudicazione in seguito alla rifissazione della vendita al ribasso senza l’audizione del debitore, ha ammesso l’applicabilità dell’art. 2929 c.c. anche ai vizi formali relativi alla fase della vendita); questa tendenza giurisprudenziale è, però, criticata da una parte della dottrina, sul presupposto che le nullità cui fa riferimento la norma sono principalmente quelle che si verificano nella fase di vendita, fino all’aggiudicazione, atteso che per le fasi anteriori operano, di regola, le preclusioni di cui agli artt. 617 e 569 c.p.c. (Saletti 1, § 10; Ferri, § 4 # Soldi, 729).
Sulla nozione di «collusione con il creditore procedente», v. 29018/21; 18312/14 → IP 14, 669 – Triola; 12732/07; per la condivisibile affermazione che a nulla rilevi il difetto di diligenza del terzo acquirente, cfr. 3603/15; 7991/10.
Al rilievo della nullità è, infine, pacificamente posta una preclusione, rappresentata dalla chiusura del processo esecutivo: i vizi relativi al quomodo dell’esecuzione forzata devono, in altri termini, trovare un rimedio all’interno del processo esecutivo e non possono essere fatti valere al di fuori di quest’ultimo (Mandrioli-Carratta, 34 s.; Luiso, 277, 285; Soldi, 2265), salve limitate ipotesi di inesistenza (Mandrioli, 229, ove ulteriori riferimenti) e salva l’ipotesi in cui la collusione dell’aggiudicatario con il creditore procedente sia stata scoperta solo dopo che il processo esecutivo si è concluso, nel qual caso la nullità della vendita potrà essere fatta valere con un’autonoma actio nullitatis (Campi, § 5, ove riferimenti).
Per un ampio quadro della questione in oggetto, cfr. Barletta, 76 ss.; da ultimo, v. Cagliari; Cirulli 3, in particolare § 3; D. Micali 1, in particolare § 4 s..
14. Opposizione agli atti esecutivi e riscossione mediante ruolo. Nella riscossione mediante ruolo delle entrate tributarie di cui all’art. 2 del d.lg. 31 dicembre 1992, n. 546, non sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 617 c.p.c. relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo (cfr. art. 57, comma 1, lett. b), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602).
La ratio di tale limite è stata tradizionalmente individuata nella possibilità di autonoma impugnazione del ruolo, della cartella di pagamento, anche per vizi propri, e dell’avviso di mora ex art. 50 d.P.R. n. 602/73, innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi degli artt. 2, comma 1, e 19 del d.lg. n. 546/92 (da ultimo, v. però l’art. 12, comma 4-bis, d.P.R. n. 602/73, come introdotto, in sede di conversione del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215 – su cui, anche per riferimenti, Melis).
La principale questione interpretativa, nella materia che ci occupa, attiene alla individuazione del giudice avente giurisdizione sulle controversie relative alla illegittimità del pignoramento, derivante da vizi formali degli atti prodromici (quali la mancata o viziata notifica della cartella di pagamento o della c.d. intimazione di pagamento, quando necessaria).
Da una parte, infatti, l’art. 2, comma 1, del d.lg. n. 546/92 sembra riservare alla giurisdizione ordinaria le parentesi cognitive, quando è iniziata l’espropriazione («restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica»); dall’altra, l’art. 57, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 602/73 sembra escludere l’opposizione formale, se il vizio dedotto riguarda la regolarità formale e/o la notificazione del titolo esecutivo.
Secondo un orientamento, il mezzo di impugnazione va individuato in forza dell’atto impugnato, e non del vizio fatto valere, con la conseguenza che i vizi formali degli atti prodromici, per i quali non sia intervenuta sanatoria, legittimano il contribuente all’opposizione agli atti esecutivi avverso l’atto di pignoramento, viziato per invalidità derivata (24235/15; 9246/15; 8618/15).
L’orientamento che, per quanto contestato, si va invece consolidando (cfr. Auletta, § 3), è nel senso contrario: in materia di esecuzione forzata tributaria, l’impugnazione dell’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi degli artt. 2, comma 1, e 19 del d.lgs. n. 546/92, dell’art. 57 del d.P.R. n. 602/73 e dell’art. 617 c.p.c. – davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario (13913/17 → CT 17, 2388 – Basilavecchia; RT 17, 1120 – Tabet; GT 17, 762 – Glendi; IF 17, 2587 – Russo; IF 17, 3141 – Fronticelli Baldelli; BT 17, 1443 – Carnimeo; IP 17 – Lauropoli; IT 17 – Gobbi; DG 17, 1 – Gavioli; DPT 18, 363 – Russo; GI 18, 1109 – Canè; CG 18, 677 – Glendi; RTDT 18, 745 – Cirulli; conf. 13916/17 → IF 17, 3141 – Fronticelli Baldelli; CG 18, 677 – Glendi).
Successivamente, in quest’ultimo senso, 24965/17 → IF 17, 4377 – Russo; GI 18, 1109 – Canè; CG 18, 677 – Glendi; 9833/18; 11481/18; 7822/20 → DPT 20, 2159 – Glendi; GT 20, 504 – Guidara; CG 20, 932 – Glendi; InExecutivis 20 – Auletta).
Per un quadro sintetico, e per ampi riferimenti, Cirulli 2; Bonafine 2.
Quanto alle entrate tributarie diverse da quelle elencate dall’art. 2 del d.lg. n. 546/92 ed alle entrate non tributarie, le opposizioni esecutive sono proponibili senza limitazioni, sia in forma preventiva che successiva, ai sensi dell’art. 29 d.lg. 26 febbraio 1999, n. 46.
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Commento di Giuliano Giaquinto, licenziato il 7 luglio 2022