Art. 669-bis. Forma della domanda.
- 16 Gennaio 2023
La domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente.
Sommario: 1. L’introduzione in breve del rito cautelare uniforme con la riforma del 1990. – 2. Le condizioni dell’azione cautelare. – 3. La forma della domanda. – 4. I principali requisiti strutturali della domanda. – 5. La domanda cautelare ante causam. – 6. La necessaria prospettazione delle ragioni di merito nella domanda cautelare ante causam. – 7. La domanda cautelare incidentale. – 8. Effetti derivanti dalla proposizione della domanda cautelare. – 9. La domanda riconvenzionale cautelare.
1. L’introduzione in breve del rito cautelare uniforme con la riforma del 1990. – Con la riforma del 1990, il legislatore non si limitò ad intervenire “in punta di piedi” sugli articoli del codice, ma, tra l’altro, riscrisse completamente l’intero rito cautelare uniforme. Si diede vita, cioè, ad un “modello unitario” con l’introduzione nel codice di un nuovo corpus normativo composto dagli artt. 669-bis e seguenti fino al 669-quaterdecies. Si è trattato di uno dei pochi interventi legislativi risultati in grado, dagli anni ’90 ad oggi, di conciliare le aspettative e le ragioni, di dottrina, giurisprudenza e avvocatura.
Tuttavia, il rito cautelare non è rimasto identico a quello introdotto nel 1990. Infatti, con Legge n. 80/2005 si è provveduto a modificare la disciplina in esame, in particolare recependo una sentenza additiva della Corte Costituzionale (144/2008), con cui si è prevista la possibilità di proporre reclamo non solo avverso l’ordinanza che concede il provvedimento cautelare, ma anche contro un provvedimento di rigetto.
Ad ogni modo il rito cautelare merita una valutazione generale più che positiva dal momento che è uno dei rari casi in cui l’efficienza immaginata dal legislatore è riuscita a realizzarsi nella pratica.
2. Le condizioni dell’azione cautelare. – Nel commento della norma iniziale, brevissime considerazioni vanno fatte anche in relazione ai requisiti essenziali per l’esercizio dell’azione cautelare. Quest’ultima è volta a salvaguardare l’affermato diritto dell’istante da pregiudizi che possono derivare dalle lungaggini del processo di cognizione ordinaria, dunque a preservare la situazione sostanziale la cui sussistenza sarà valutata nel successivo giudizio di merito (Recchioni 1: 62 ss.). Per questi motivi, si può parlare a tutti gli effetti di un’azione ex se, infatti la parte con il suo agire investe il giudice del potere di salvaguardare lo status quo (Caratta: 40 ss.). Dunque, la decisione culminerà in un dispositivo forse anche diverso rispetto a quello del giudizio di merito, ma a quest’ultimo prodromico e funzionalmente collegato (8765/01).
Appare fondamentale la legittimazione ad agire ed anche quella a resistere, id est , non sarà mai possibile richiedere al giudice della cautela la pronuncia di un provvedimento contro terzi non legittimati a resistere nel successivo giudizio di merito (Salvaneschi: 391); ed ancora non sarà possibile emanare misure cautelari su istanza di chi non si afferma titolare del diritto leso; ed infine contro soggetti non determinati: dunque non è mai ammessa la pronuncia di un provvedimento in incertam personam (Vullo 1: 10; Recchioni 2: 57 ss.).
3. La forma della domanda. – L’art. 669-bis nell’aprire la sezione dei procedimenti cautelari in generale recita testualmente “La domanda cautelare si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice competente”. La scelta del ricorso quale atto introduttivo si impone su un piano logico per due ragioni fondamentali: la prima, è la necessaria celerità che ontologicamente connota il procedimento cautelare; la seconda è rinvenibile, non guardando all’essenza del rito in esame, piuttosto al fine ultimo di preservare l’istante da comportamenti potenzialmente lesivi della controparte (Vullo 1: 19 s.). Ergo, sarebbe controproducente portare a conoscenza, prima della parte avversa e poi del giudice della cautela, la situazione sostanziale per cui si rende necessaria la tutela stessa.
La disposizione così come formulata parrebbe essere prevista ad hoc per la proposizione di una domanda cautelare ante causam, ma non invece in corso di causa. Infatti, per anni è rimasta salda la linea di una dottrina (oggi minoritaria) per cui il rispetto della lettera della norma imponeva l’adozione della forma del ricorso quale atto introduttivo sia per la proposta ante causam, sia durante il processo a cognizione piena, così da precludere, in una causa già pendente, una domanda cautelare, rectius, un’istanza cautelare che non fosse “incartata” in un atto ex se.
In realtà, ad oggi, la dottrina maggioritaria, lungi da rigide e ristrette letture del dettato codicistico, ritiene possibili entrambe le ipotesi testé citate (Verde 1: 214 s.). Quest’ultima interpretazione si pone, se non altro, come perfettamente rispettosa del principio della libertà delle forme che in un processo a cognizione sommaria come quello in esame trova inevitabilmente cittadinanza. Dunque, non solo tale istanza potrà essere inserita nell’atto di citazione, ma sarà possibile anche la richiesta in forma orale con annotazione nel verbale d’udienza; e ancora, nell’era del processo telematico, o “cartolare”- ulteriormente corroborato dalla riforma in atto, in particolare dal d.lgs. n.149/2022- l’istanza troverà una sede legittima anche nelle “note di trattazione scritta”.
Il lettore più attento potrà chiedersi come sia possibile eludere il rispetto della forma del ricorso, esplicitamente prevista dall’articolo in esame. Come giurisprudenza diffusa afferma (1398/01; 10495/04), sarà fondamentale rispettare tutti i requisiti sostanziali previsti per la validità del ricorso ai sensi dell’art. 125 c.p.c., di modo che una volta delineato un atto che sia nell’essenza idoneo a raggiungere il fine perseguito (Tarzia-Saletti, 842, ss.), troverà applicazione la disposizione di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c. per cui “La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato” (16122/12).
La questione verrà comunque affrontata in seguito con maggiore analiticità.
4. I principali requisiti strutturali della domanda. – Come già esplicitato, la domanda cautelare, laddove avanzata prima dell’inizio del giudizio di merito, va proposta con atto introduttivo che deve avere la forma del ricorso. Tale modello comporta inevitabilmente il richiamo ai requisiti previsti ai sensi dell’art. 125 c.p.c.
In primis dovrà essere individuato l’ufficio giudiziario adito, segue l’individuazione delle parti, il petitum, cioè l’oggetto della domanda, la causa petendi, cioè l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda con le relative conclusioni e le eventuali prove, l’indicazione delle circostanze che integrano il fumus boni iuris e il periculum in mora; ed infine, laddove, sia proposta domanda ante causam, la prospettazione della causa di merito (ciò che meglio sarà chiarito nel successivo paragrafo).
Gli aspetti più rilevanti su cui appare opportuna una riflessione analitica sono il fumus boni iuris ed il periculum in mora (Comoglio: 159): non meri elementi oggettivi richiesti asetticamente dal legislatore, piuttosto, tratti ontologici della domanda cautelare. In premessa, il fumus boni iuris consiste nella verosimile fondatezza della situazione sostanziale che si ottiene all’esito di un giudizio sommario del diritto alla cautela, rectius, del diritto cautelando. Tuttavia, nel caso de quo, la definizione appare poco precisa, tale da dar luogo a due diverse interpretazioni della “fondatezza”. La prima secondo cui al fine di ottenere il provvedimento richiesto, sarà sufficiente che il diritto cautelando non sia “manifestamente infondato”; la seconda per cui il diritto cautelando non solo non dovrà essere manifestamente infondato, ma ulteriormente si dovrà dare prova della possibile e probabile esistenza del diritto stesso. (Recchioni 2: 90 ss.).
Ad ogni modo sembra preferibile una soluzione che appare come un mixtum compositum dei due orientamenti: dunque per accedere alla tutela cautelare sarà inevitabile superare lo “sbarramento” della non manifesta infondatezza del diritto cautelando; e ciò non tanto a titolo di postulato giuridico, piuttosto come risultato di un ragionamento ab origine. In via ulteriore, sarà necessaria una verifica della probabilità che il diritto cautelando sia realmente esistente, ma rimessa interamente al giudice rispetto al caso di specie, il quale giudice dovrà tenere conto di alcuni parametri fondamentali, tra cui che il provvedimento richiesto sia prodromico rispetto al giudizio di merito (Vullo 1: 17 s.). Infatti, è di vitale importanza che il giudice ponga in essere «un preventivo calcolo di probabilità intorno a quello che potrà essere il contenuto del futuro provvedimento principale» (Calamandrei: 276 ss.). Ad ogni modo non è possibile individuare una soglia minima di fumus «ossia il quantum di probabilità che il giudice della cautela deve accertare per concedere il provvedimento richiesto, […] ma la misura della plausibilità del diritto va modulata a seconda delle ipotesi che di volta in volta vengono in considerazione: così la valutazione del fumus dovrà essere diversamente approfondita tenuto conto del tipo di provvedimento cautelare richiesto e del suo rapporto con la decisione di merito che si pronuncerà all’esito del giudizio di cognizione » (Vullo: 18).
La stessa incertezza non la si riscontra nella definizione di “periculum in mora”, che letteralmente significa “pericolo nel ritardo”, cioè pregiudizio che potrebbe riguardare il diritto per cui si richiede la cautela, laddove non si intervenga in tempi celeri. Dunque, si tratta del cuore dell’interesse ad agire innanzi al giudice cautelare (Barletta: 124). Al di là di ogni possibile definizione, non è tanto discusso il significato, piuttosto la natura nonché la sua funzione nel procedimento de quo. In merito vi è chi intende il “periculum in mora” come una condizione di ammissibilità della domanda (Carbonara: 385 s.); e chi ritiene si tratti di un requisito volto a corroborare la fondatezza della domanda cautelare (Mandrioli: 205). Al di là di ogni prospettazione teorica, sul piano pratico è possibile notare una netta differenza. Se si accoglie la prima tesi, rientrando il “periculum” nelle questioni di rito, anche in caso di rigetto la domanda potrà essere sempre riproposta (Marinelli: 104 s.). Se si accede alla seconda tesi, in caso di rigetto della domanda cautelare non sarà possibile riproporla se non per sopravvenute circostanze fattuali.
La prima tesi, tra l’altro minoritaria, non convince, perché finisce per declassare il periculum a mero requisito di accessibilità alla tutela; ma è ben chiaro che si tratta di un elemento fondamentale ai fini della valutazione di merito, prodromico alla concessione del provvedimento cautelare.
5. La domanda cautelare ante causam. – La disposizione dell’articolo in esame si attaglia perfettamente alla formulazione della domanda ante causam, cioè proposta prima dell’instaurazione del giudizio di merito. Più difficoltosa è l’aderenza con la domanda in corso di causa, cosiddetta “incidentale”. Degli elementi formali che il ricorso cautelare deve rispettare si è già parlato nel precedente paragrafo. Ciò che ora più preme è capire quali principi operano e perché. Come detto, il ricorrente dovrà indicare quale misura cautelare intende ottenere. Tale assunto lo si ricava per relationem dall’art. 125 c.p.c. ove tra i vari requisiti elencati vi è il petitum che, a sua volta, si divide in immediato, cioè il provvedimento richiesto, e mediato cioè l’oggetto della domanda, anche se come vedremo il quadro di vedute è tutt’altro che univoco. In merito ci si è chiesti quanto tale richiesta vincoli poi il giudice nella fase decisionale.
Preliminarmente occorre far riferimento al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. e capire non tanto se anche in questo caso operi o meno, circostanza che appare scontata, piuttosto il quantum di tale operatività. Ciò perché se pur è vero che il procedimento cautelare è a tutti gli effetti un procedimento giudiziale, bisogna anche ricordare che la sua portata sarà inevitabilmente attenuata, dal momento che per la natura della tutela cautelare «non può non essere lasciata al giudice qualche libertà nella specificazione delle cautele più idonee in relazione al caso di specie» (Verde 2: 432 s.). Il punto sta nel fatto che l’anzidetto principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, come sempre capita, è integrato dal “iura novit curia”, cioè da altro principio cardine per cui il giudice, venendo a conoscenza dei fatti, preso atto che il provvedimento richiesto non è aderente al caso di specie e dunque l’istanza meriterebbe un rigetto, potrà superare il mero nomen iuris e disporre la misura cautelare più corretta.
A riguardo tre sono le tesi contrapposte. Taluno sostiene che il principio di cui all’art. 112 c.p.c., deve essere interpretato in modo elastico, per cui le misure cautelari devono essere considerate interscambiabili; e nella stessa prospettiva vi è chi ipotizza la possibilità di rappresentare al giudice la situazione di fatto e di diritto – dunque la causa petendi – lasciandogli piena discrezionalità e permettendogli, alla luce di una propria valutazione, di pronunciare il provvedimento che appare più opportuno (Vullo 2: 1269; Salvaneschi: 386). Infine, vi è un terzo orientamento sostenitore di una tesi antitetica, per cui il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato non solo opera pienamente, ma è da considerarsi anche rafforzato, con piena esclusione di ogni discrezionalità del giudice (Marelli: 565).
È probabile che la soluzione risieda come sempre nel mezzo, ma in questo caso appare molto affine alla seconda tesi testé citata, per cui, attesa l’applicabilità del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, allorché il giudice non ravvisi i presupposti per l’emanazione della misura espressamente richiesta dalla parte, non dovrà limitarsi a pronunciare un mero provvedimento negativo. Piuttosto, dovrà impegnarsi nell’esame della fattispecie sostanziale e, come la giurisprudenza di legittimità afferma, rifarsi alle “deduzioni e richieste di parte che possono essere desunte implicitamente” (5832/21).
6. La necessaria prospettazione delle ragioni di merito nella domanda cautelare ante causam. – Nel caso in cui si proponga domanda cautelare ante causam, i soli elementi di cui sopra risultano insufficienti. Da anni ormai è diffusa la convinzione, e ciò sia in dottrina che in giurisprudenza, per cui, nel proporre istanza cautelare prima del relativo processo di cognizione, si rende necessaria la prospettazione della causa di merito, delle ragioni a fondamento della stessa e delle relative conclusioni (T. TO, 15.10.18 @). Ciò è dovuto ad una serie di incombenze da rispettare, che in ordine ascendente possono essere così elencate: preliminarmente è d’obbligo il richiamo all’art. 669-octies che dispone “l’ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a sessanta giorni per l’inizio del giudizio di merito[…]”; dunque, posto che la successiva introduzione del giudizio di merito è obbligatoria (si vedrà poi in quali limiti) e che a questo è prodromico il provvedimento richiesto, in via ermeneutica è d’obbligo anche il rispetto del principio generale di idoneità dell’atto al suo scopo, che in questo caso impone tale prospettazione. Ciò appare logico e nella prospettiva di evitare che la parte possa richiedere, ed ottenere, una misura cautelare strutturalmente e funzionalmente sconnessa con il successivo giudizio di merito. La ratio sottesa al ricorso cautelare è proprio quella di ottenere la tutela di un diritto soggettivo che potrebbe subire pregiudizio irreparabile in attesa della fine di un processo di cognizione ordinaria. Alla luce di ciò, risulta evidente l’onere della parte di agire in via cautelare e poi in via ordinaria per lo stesso diritto, e ciò sarà verificabile solo anticipando il contenuto sostanziale del futuro giudizio di merito già nella prima domanda cautelare. Tuttavia, la specificazione dell’azione di merito che si intende introdurre successivamente all’azione cautelare risponde anche e soprattutto ad altre esigenze di primaria importanza. Infatti, permette di verificare il rispetto del principio del “giudice naturale”, dunque la sua effettiva competenza.
Ancora, individuare la (futura) domanda di merito consente di appurare la verosimile fondatezza della domanda cautelare, cioè permette al giudice della cautela un’approfondita analisi e verifica dell’attendibilità del periculum in mora e del fumus boni iuris (Vullo 1: 26 s.). Ed infine garantisce il pieno diritto di difesa del resistente. Per tutte le ragioni esposte, tale indicazione è stata considerata per anni come condizione di ammissibilità della domanda cautelare. Nondimeno appare doveroso fare menzione della riforma apportata con la Legge 80/2005, con cui sono state introdotte delle ipotesi – è il caso di pronunzia di provvedimenti cautelari a contenuto anticipatorio – in cui il ricorrente non è obbligato ad introdurre il giudizio di merito, e conseguentemente a palesarne l’indicazione già nel ricorso cautelare. Risulta evidente che il legislatore ha voluto attenuare tale rapporto. Ma appaiono evidenti le difficoltà sul piano pratico.
Se non altro la mancata prospettazione di cui sopra, sarebbe controproducente per il ricorrente stesso, dato che il giudice non avendo a disposizione gli elementi per meglio valutare la fondatezza del periculum e del fumus, e ancora la propedeuticità del “petitum cautelare immediato” al successivo giudizio, potrebbe facilmente rigettare il ricorso. Sulla base di quanto detto, ad oggi si parla di «strumentalità attenuata» (Raimondi: 512 s.), per cui se è sicuramente vero che per la richiesta di una misura cautelare anticipatoria non è indispensabile la prospettazione della causa di merito, è parimenti vero che quest’ultima risulta propedeutica all’interesse perseguito dal ricorrente (Caratta 2: 136). Fuori dall’eccezione dei provvedimenti cautelari anticipatori, le conseguenze dell’omessa indicazione della causa di merito sono drastiche: in giurisprudenza l’orientamento diffuso, nella specie, è quello di dichiarare la nullità insanabile del ricorso, o ancora l’inammissibilità (T. MO 05.06.15 @).
Anche se in questo caso ci sentiamo di accedere alla contrapposta tesi, per cui trattandosi di un vizio del contenuto dell’atto introduttivo, rectius, dell’editio actionis, ben sarà possibile l’applicazione dell’art. 164, comma 5, c.p.c e, dunque, la fissazione da parte del giudice di un termine perentorio per rinnovare l’atto introduttivo (Balena: 337 ss.).
Altro tema di cui è bene avere contezza è la possibilità di una discrasia tra quanto poi richiesto nella causa di merito e quanto invece prefigurato nel ricorso cautelare chiesto ante causam. Preliminarmente occorre fare una distinzione tra una semplice modifica e il radicale mutamento della domanda. La differenza non è sottile e con risultanze pratiche totalmente diverse. Infatti nel primo caso si avrà un cambiamento delle richieste di merito, ma che proseguono il rapporto di connessione con la misura cautelare ottenuta. Invece nel secondo vi è un totale cambio di rotta, tale per cui il provvedimento precedentemente richiesto appare del tutto sconnesso con le richieste di merito avanzate.
Alla luce di ciò, nella prima ipotesi il giudice potrà, ma non dovrà, revocare quanto concesso in sede cautelare, nella seconda, venendo meno ogni riferimento, dovrà necessariamente revocare ogni misura concessa.
7. La domanda cautelare incidentale. – È bene a questo punto approfondire anche la questione della domanda cautelare proposta in via incidentale, cioè in corso di causa. Il problema fondamentale è, come già accennato nell’introduzione, che il dettato codicistico imporrebbe la necessità di deposito di un ricorso ad hoc, precludendo la strada ad ogni altra istanza scritta o orale.
In questo senso si propone una risalente giurisprudenza di merito e una dottrina minoritaria le quali sostengono che il procedimento cautelare rimane sempre autonomo ed indipendente rispetto al giudizio di merito, sia se questo è instaurando, sia se è già instaurato (Salvaneschi: 294 ss.). Ciò implicherebbe necessariamente la formazione di due fascicoli separati con a monte due atti introduttivi diversi. Tuttavia, come altri sostiene, «queste opinioni restrittive peccano di formalismo e spesso sembrano troppo propense a dare rilievo alle istanze di chi organizza i servizi di cancelleria, avendo costoro trovato insuperabile l’ostacolo di non avere un documento autonomo che sia a base di un fascicolo distinto rispetto a quello della causa di merito: quasi che oggi non sia possibile facilmente estrarne copia» (Verde 1: 215).
Riportandoci sempre all’introduzione, è preferibile accedere a questa seconda tesi che potremmo definire più “elastica”, ma parimenti più rispondente ad esigenze di celerità che caratterizzano il rito cautelare. Dunque, sarà possibile inserire l’istanza cautelare sia nell’atto di citazione –o nel ricorso nel caso in cui trovi applicazione il rito del lavoro- sia tramite apposita istanza orale con annotazione nel verbale d’udienza, ed ancora a mezzo note di trattazione scritta con il relativo deposito nel fascicolo telematico.
Infine, in prospettiva puramente pragmatica, è bene ricordare che «il procuratore già officiato non dovrà ottenere una nuova procura al fine di redigere ed avanzare un ricorso cautelare incidentale» (12288/04; De Matteis: 300).
8. Effetti derivanti dalla proposizione della domanda cautelare. – La domanda cautelare al pari di ogni domanda giudiziale produce effetti di carattere sostanziale e processuale. Rispetto ai primi, anche quando l’istanza è proposta ante causam –altrimenti non vi sarebbe alcun motivo per specificarlo- si verifica “l’interruzione” della prescrizione del diritto azionato, così come disciplinata dall’art. 2943, comma 1, c.c. “La prescrizione è interrotta dall’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione, ovvero conservativo o esecutivo”. Il caso de quo è da classificare tra i giudizi cosiddetti conservativi (13302/12).
L’interruzione della prescrizione avrà decorrenza dal momento in cui la controparte avrà effettiva conoscenza della misura cautelare richiesta, rectius, ai sensi dell’art. 2943, comma 1, c.c. dalla notificazione dell’atto con cui si inizia un giudizio, sia questo di cognizione, ovvero conservativo o esecutivo (21799/21, 18305/20).
Il secondo effetto sostanziale che si produce è quello della sospensione della prescrizione così come prevista dall’art. 2945, comma 2, c.c. che testualmente recita “se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’art. 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”. Cioè si determina dall’atto introduttivo –ciò che verrà meglio approfondito nel prosieguo del presente scritto- nel nostro caso il ricorso cautelare, un lasso temporale relativamente definito in cui i termini per la prescrizione non decorrono (24116/16).
Quanto agli effetti processuali, il primo che si verifica è quello della perpetuatio iurisdictionis” desumibile dall’art. 5 c.p.c., per cui si rendono irrilevanti, ai fini della giurisdizione, i mutamenti successivi alla proposizione della domanda, i quali operano solo nel caso in cui il sopravvenuto mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione che egli aveva quando la domanda è stata introdotta; non già nel caso, inverso, in cui esso comporti l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era inizialmente privo (6674/03).
Altro effetto processuale è quello della litispendenza di cui all’art. 39, comma 1, c.p.c., che inevitabilmente opera nel caso in cui due domande cautelari identiche siano proposte dinanzi a giudici diversi. Per la giurisprudenza maggioritaria (792/01,) il principio in esame risponde ad ovvie esigenze di economia processuale e troverà sempre applicazione al fine di impedire il simultaneo esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da parte di più giudici. Si avrà litispendenza quando ai fini della regiudicata, gli elementi del rapporto processuale – personae, petitum, causa petendi – sono identici e le due cause sono contemporaneamente pendenti, senza che per una tra esse sia stata pronunciata alcuna decisione definitiva (16328/07). Il fine ultimo è chiaramente quello di evitare giudicati, o comunque provvedimenti contrastanti, ed ancora di evitare l’elusione della disposizione di cui all’art. 669-septies per il quale “[…] L’ordinanza di rigetto non preclude la riproposizione dell’istanza per il provvedimento cautelare quando si verifichino mutamenti delle circostanze”: in merito si potrebbe parlare, in termini impropri, di rispetto del principio del “ne bis in idem” traslato in ambito processual-civilistico, cioè la preclusione della possibilità di proporre due volte la stessa istanza negli stessi termini. Ovviamente, non si avrà litispendenza di cause quando queste condividano questioni identiche, ma siano oggettivamente diverse (6826/17). Antitetica giurisprudenza esclude l’idea di una litispendenza tra i due giudizi, dal momento che, benché funzionalmente collegati, si differenziano per struttura, procedimento e petitum (26977/07).
Individuati quali sono gli effetti processuali è bene capire da quando questi effettivamente decorrono. In passato la questione era molto dibattuta data l’assenza di una norma di riferimento. Infatti una prima tesi sosteneva che gli effetti processuali si producevano dal momento della pronuncia del decreto di fissazione dell’udienza, dunque a seguito della notificazione del ricorso. In realtà possiamo già anticipare che si tratta di un orientamento superato, dato l’intervento del legislatore con la Legge 69/2009, a mezzo della quale si è provveduto ad aggiungere un ulteriore comma all’art. 39 c.p.c. con cui si è previsto testualmente che “La prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso”. Ad oggi, la giurisprudenza più diffusa sostiene, dunque, che la pendenza di un giudizio si ha con il deposito in cancelleria del ricorso introduttivo, ed ancora – nell’era del “PCT” processo civile telematico – nel caso in cui il ricorso venga depositato telematicamente, l’effettiva pendenza va valutata ed individuata con riferimento alla data in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata, e non da quella, successiva, in cui il ricorso è stato effettivamente iscritto a ruolo da parte del personale di cancelleria. In questo senso l’intento del legislatore è quello di prevenire il rischio di decadenze incolpevoli a carico della parte e riconducibili agli eventuali, sebbene non auspicabili, ritardi nella lavorazione degli atti oggetto di invio telematico da parte della cancelleria (1366/18).
9. La domanda riconvenzionale cautelare. – Ultimo problema da affrontare è quello della possibilità per il convenuto di proporre una contro-domanda cautelare in via riconvenzionale. In merito si riscontra una grave oscillazione giurisprudenziale.
Un primo orientamento esclude la possibilità de qua basandosi su una serie di formalismi – forse eccessivi -, quali il rispetto dell’economicità processuale che il giudizio cautelare, per sua natura, deve garantire. Ciò sull’assunto che la domanda in riconvenzione è una domanda autonoma, finalizzata ad ottenere un provvedimento favorevole al convenuto e si differenzia da una mera negazione dei fatti posti a fondamento del diritto cui il ricorrente afferma essere titolare, in poche parole si amplia il thema decidendum e di conseguenza il lasso temporale di cui il giudice necessita per la valutazione dei fatti addotti (Vullo 1: 47 s.). Ciò appare strutturalmente in contrasto con il disposto dell’art. 669-sexies, comma 1, c.p.c. per il quale “il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno […]”. Ed ancora, la possibilità di una riconvenzionale cautelare è minata dal silenzio del legislatore, anche dopo la riforma del 1990.
Nondimeno, posto che condizione necessaria per la proposizione di una domanda riconvenzionale è l’esistenza di un collegamento obiettivo che implichi l’opportunità della trattazione e decisione simultanea (8207/06), si potrebbe ragionare in altro senso per cui non è detto che la contro-domanda cautelare esuli dalle “formalità essenziali al contraddittorio”. Infatti, è certamente vero che laddove la riconvenzionale risulti fondata, se da un lato amplia il tempo necessario al giudizio, dall’altro evita decisioni cautelari ingiustificate e contrastanti con il potenziale giudicato di merito. Attesa dunque tale possibilità è sorto un contrasto tra due indirizzi contrapposti, un primo per cui non è necessario che le richieste avanzate con la riconvenzionale debbano essere connesse con l’oggetto dell’originaria istanza cautelare.
Altri invece, sostiene l’esatto opposto, e parte dal testo dell’art. 36 c.p.c.: “Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione […]”. Se il legislatore, disciplinando la riconvenzionale, ha previsto che questa debba essere in qualunque modo connessa con la domanda principale, l’interpretazione di tale norma va estesa anche alla contro-domanda cautelare (8207/06; 27564/11). Ad oggi è quest’ultima la tesi più avallata a cui ci sentiamo di accedere.
Bibliografia del testo: BALENA G. E BOVE M., Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006; BARLETTA A., La riproposizione della domanda cautelare, Milano, 2008; CALAMANDREI P., La sentenza dichiarativa di fallimento come provvedimento cautelare, in Riv. Dir. Comm., 1936; CARRATTA A. 1, Profili sistematici della tutela cautelare, in I procedimenti cautelari, a cura di Carratta, Bologna, 2013; CARATTA A. 2, I nuovi riti speciali societari fra “decodificazione” e “sommarizzazione” , Torino, 2005; CARBONARA F., Limiti oggettivi dell’«anticipazione» giuridica, «strumentalita`attenuata» ed ulteriori riflessioni in tema di provvedimenti cautelari nel nuovo rito societario, in Davanti al giudice. Studi sul processo societario, a cura di L. Lanfranchi, e A. Carratta, Torino, 2005; COMOGLIO L.P., in Comoglio L.P. – C. Ferri – M. Taruffo, Lezioni sul processo civile, Bologna, 2011; DE MATTEIS S., La riforma del processo cautelare: analisi sistematica e profili operativi del nuovo rito cautelare, Milano, 2006; MANDRIOLI C., Diritto Processuale Civile, IV, Torino, 2006; MARELLI F., Il nuovo processo cautelare, in commentario Le riforme della giustizia civile, a cura di Michele Taruffo, Torino, 2000; MARINELLI M., La clausola generale dell’art.100 c.p.c., origini metamoforsi e nuovi ruoli, Trento, 2005; RAIMONDI E., I provvedimenti cautelari e il principio di strumentalità attenuata, in Riv. giur. lav. e prev. Soc. 2007, III, II, pp. 512-518; RECCHIONI S. 1, Lineamenti sistematici della tutela cautelare, in I procedimenti sommari e speciali, II, Procedimenti cautelari, (a cura di) Chiarloni E Consolo, Torino, 2005; RECCHIONI S. 2, Diritto Processuale Cautelare, Torino, 2015; SALVANESCHI L., La domanda e il procedimento, in Il Processo Cautelare, a cura di Tarzia e Saletti, V edizione, Padova, 2011; TARZIA G.– SALETTI A., Il processo Cautelare, Padova, 2011; VERDE G. 1, Diritto Processuale Civile, III, Processo di esecuzione, procedimenti speciali, V Edizione, Bologna, 2017; VERDE G. 2, Appunti sul procedimento cautelare, in Foro it, 1992; VULLO E. 1, Commentario del Codice di Procedura civile a cura di Sergio Chiarloni. ART. 669 BIS – 669 quaterdecies. Procedimenti cautelari in generale, Bologna, 2017; VULLO E. 2, I provvedimenti d’urgenza ex art. 700 cod. proc. Civ, in I procedimenti sommari, II, 2, a cura di Chiarloni e Consolo, Torino, 2005.
Commento di Giuseppe Mancino, licenziato il 16 gennaio 2023.